Posts tagged with “beni culturali”

Edilizia privata: la distinzione tra variante, variazione essenziale e difformità parziale sulla scorta di interessanti pronunce giurisprudenziali

impresa-edile-colella10638.jpg

Sul tema prendiamo spunto dalla Sentenza n.52977/2018 della Corte di Cassazione, con la quale ricorre il progettista e direttore dei lavori di un cantiere contro pronuncia della Corte d’Appello, oggetto di ricorso è l’errata applicazione dell’art.32 “Determinazione delle variazioni essenziali” del Testo Unico per l’Edilizia.

Il professionista trasmetteva al comune di ricadenza dell’immobile oggetto di opere richiesta ai fini dell’ottenimento del Permesso di Costruire in variante, seppure fosse necessaria l’istanza per l’ottenimento del nuovo titolo abilitativo edilizio considerando non la variante, bensì la variazione.

Sulla base del suo operato il tecnico contesta le risultanze della Corte d’Appello per aver modificato la sagoma del fabbricato eliminando una sporgenza triangolare, pertanto essendo essa variante in difetto, a suo giudizio non rientrerebbe nel regime delle “variazioni essenziali”. In particolare articola la sua tesi riconducendosi agli interventi di ristrutturazione edilizia, sostenendo il mutamento non possa rientrare tra i fattori tecnici per i quali occorra un autonomo Permesso di Costruire. Sulla base di ciò la Corte d’ Appello trae la logica conclusione le modifiche proposte dal tecnico non siano tali da poter rientrare nel concetto di variante, bensì in quello delle variazioni essenziali per le quali previsto conseguire un nuovo permesso di costruire, più concretamente la struttura edilizia risultava differente per una cubatura di mc.100,00, per sagoma e diversa allocazione rispetto al progetto autorizzato.

La Corte di Cassazione rilevando che, pure, la planimetria depositata in Comune con il progetto, rigettato, in variante, indicasse in modo errato la superficie del lotto ed, oltremodo, non rappresentasse le opere già realizzate in difformità al progetto originario, deduce le citate differenze si riscontrino anche nell’aver rappresentato il professionista una sagoma rettangolare, ovvero diversa in quanto priva della sporgenza triangolare, e di aver traslato il manufatto edilizio venendo meno anche al rispetto delle distanze legali.

È dalla superiore sentenza della Corte di Cassazione che si possono estrarre le tre interessanti definizioni sul concetto di variante al permesso di costruire, come distinte in varianti leggere o minori, varianti in senso proprio e variazioni essenziali:

Varianti leggere o minori: “ovvero quelle che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia e sono tali da non alterare la sagoma dell'edificio (nonché rispettose delle prescrizioni eventualmente contenute nel permesso a costruire), per cui sono assoggettate alla mera denuncia di inizio attività, da presentarsi prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori;”

Varianti in senso proprio: “consistenti in modificazioni qualitative o quantitative, seppure di consistenza non rilevante rispetto al progetto approvato (che non comportano cioè un sostanziale e radicale mutamento), le quali necessitano del rilascio del "permesso in variante", complementare ed accessorio rispetto all'originario permesso a costruire;”

Variazione essenziali “caratterizzate da "incompatibilità quali-quantitativa con il progetto edificatorio originario rispetto ai parametri indicati dall'art. 32 del D.P.R. n. 380/2001, le quali sono perciò soggette al rilascio di un permesso a costruire nuovo ed autonomo rispetto a quello originario in osservanza delle disposizioni vigenti al momento di realizzazione della variante”.

Sulle citate distinzioni sono molteplici le pronunce giurisprudenziali, tra queste cito il Consiglio di Stato, Sezione VI, Sentenza n.1484/2017, nella quale contraddistinte le varianti dalle variazioni essenziali, in un caso ove impugnati provvedimenti emessi dal Comune e della Sopraintendenza per i Beni Architettonici, il Paesaggio e il Patrimonio Storico e Artistico e Etno-Antropologico.

Il ricorrente durante i lavori di sostituzione di una tettoia realizzava, senza autorizzazione, due lucernai al servizio degli appartamenti al piano ultimo del fabbricato, riceveva, pertanto, ordine di demolizione per le opere eseguite in difformità al progetto e alle prescrizioni tecniche comunali, ordine confermato prima dal Tribunale Amministrativo Regionale e dopo dal Consiglio di Stato.

Dalla sentenza si ricava testualmente: “il concetto di variazione essenziale attiene alle modalità di esecuzione delle opere, mentre le varianti riguardano la richiesta di variazione del titolo autorizzativo”, inoltre, è ribadito anche il concetto di variante e di variazione essenziale “le varianti, a loro volta, si distinguono in varianti essenziali e in modificazioni qualitative o quantitative di non rilevante consistenza rispetto al progetto approvato tali da non comportare un sostanziale e radicale mutamento del nuovo elaborato rispetto a quello approvato, soggette al rilascio di un permesso in variante. Le varianti essenziali, sono caratterizzate da incompatibilità quali-quantitativa con il progetto edificatorio originario e sono soggette al rilascio di un permesso di costruire del tutto nuovo ed autonomo rispetto a quello originario. Ai fini sanzionatori, in caso di variazioni essenziali è prevista la demolizione delle opere abusive”.

La variazione essenziale deve, pertanto, essere equiparata alla mancanza del permesso di costruire, pertanto alle difformità totali.

In tema di difformità parziale, invece, si ha riferimento giurisprudenziale dalla Sentenza n.55483/2018 della Corte di Cassazione, Sez. III, secondo cui l’astrazione debba riferirsi agli aumenti di cubatura o di superficie di scarsa consistenza, e le variazioni riguardare, invece, parti accessorie che non abbiano specifica rilevanza.

Nel ricorso in oggetto il Tribunale ordinario eleva sanzione pecuniaria nei confronti dei ricorrenti ritenuti responsabili del reato di cui all’art.44 lettera a) del Testo Unico per l’edilizia, per avere realizzato maggiore cubatura, superficie e altezza di un edificio, in difformità dal Permesso di Costruire. L’importante contributo dal testo della sentenza de quò, da ricondursi alla esecuzione di interventi in parziale difformità, definisce quest’ultimo essere il concetto da attribuire alle circostanze nelle quali l’aumento del volume o della superficie sia di modesta entità, mentre la variazione essenziale si riscontra nelle medesime modifiche laddove interessanti parti accessorie di non specifica rilevanza.

Dott. in Ing. e Geom. Donatella Salamita


Autorizzazione Paesaggistica, indipendenza tra titolo abilitativo edilizio ed autorizzazione paesaggistica

paesaggistica.jpg

Partiamo dal presupposto che l’Autorizzazione Paesaggistica sia un atto autonomo richiesto in virtù di una specifica disciplina, con validità di cinque anni. Negli interventi di edilizia libera l’autorizzazione de quò risulta necessaria laddove presente vincolo paesaggistico, dovendo conseguire preliminarmente all’inizio dei lavori tale atto di assenso. Se volessimo dare uno sguardo al rapporto tra titolo edilizio ed autorizzazione paesaggistica, emerge dall’art.146 comma 9 del D.Lgs 42/2004 essere l’Autorizzazione Paesaggistica “atto autonomo e presupposto dei titoli edilizi” ragion per cui il titolo abilitativo edilizio non può essere rilasciato o reso effettivo senza il previo parere, nulla osta o autorizzazione favorevole da parte della Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali. Resta, comunque, come da costante giurisprudenza, valevole il fatto che la mancata acquisizione non renda illegittimo il titolo edilizio, più precisamente, trattandosi di due diverse tipologie di atti, autonomi l’uno rispetto all’altro. Le disposizioni del Testo Unico per l’Edilizia, d. P.R. 380/2001 in relazione agli atti di assenso Nell’introdurre la disciplina urbanistico – edilizia è l’art. 1 “Ambito di applicazione” al comma 1 a riportare il testo inerisca “i principi fondamentali e generali e le disposizioni per la disciplina dell’attività edilizia” facendo comprendere al lettore, al successivo comma 2, lo stesso testo unico per l’edilizia non attenga in alcun modo quanto riguardante normative settoriali specifiche, pertanto da quel punto di vista non ne legittima la liceità. In tal senso viene precisato, anche nel disciplinare l’attività edilizia non soggetta ad alcuna comunicazione allo Sportello Unico per l’Edilizia, ovvero al protocollo del Comune per gli enti sprovvisti di S.U.E., che non possano essere iniziati i lavori, sia nel recitare “Restano ferme le disposizioni in materia di tutela dei beni culturali e ambientali contenute nel decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (oggi decreto legislativo 42/2004), la normativa di tutela dell’assetto idrogeologico, e le altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia”. Non si limita ancora il concetto disposto dal T.U.E., ripreso, ulteriormente al comma 1 dell’art.6 “Attività edilizia libera”, che testualmente recita: “Fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, delle norme antisimiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.42, i seguenti titoli sono eseguiti senza alcun titolo abilitativo edilizio […]”, proseguendo il disposto normativo con la elencazione delle opere. Resta inteso che il mancato conseguimento dell’autorizzazione paesaggistica sia condizione di inefficacia, ma non di validità del titolo edilizio come confermato al prima citato comma 9 dell’art.146: “i lavori non possano essere iniziati in difetto dell’autorizzazione paesaggistica, senza riferimento al titolo edilizio”.


L’architettura per il sociale, la Glass House dallo Iuav alla Grecia

iuav.png

Un progetto di tre studentesse dell’istituto veneziano potrebbe diventare riparo per ragazze in un campo profughi di Diavata, a Salonicco.

Il padiglione della Glass House era stato progettato in occasione degli Open Day del 2018 e da allora installato nel chiostro dei Tolentini. Le tre studentesse hanno ripreso il padiglione e nella loro tesi di laurea dal titolo “Architetture umanitarie: riprogettare la Iuav Glass House per le ragazze del campo profughi di Diavata” lo hanno reinterpretato in chiave diversa.

Il progetto iniziale aveva come scopo quello di realizzare un riparo emergenziale, il viaggio a stretto contatto con i profughi del campo di Diavata ha poi spostato gli obiettivi progettuali verso qualcosa di più, che prede ora il nome di Spazio Venezia. Una Ong greca diretta da un italiano, la QRT Quick Response Team lavora sul posto per contribuire alle necessità primarie dei profughi ed anche al loro benessere attraverso la promozione di attività didattiche e ricreative. Da qui l’idea di trasformare la Glass House non in una struttura temporanea ma in una aula di fotografia, grazie anche al supporto del fotografo Mattiia Bidoli, ed in linea con i principi di sostenibilità e recycling.

La struttura infatti è realizzata con un materiale che deriva dal vetro, a cui si è poi aggiunto un tavolato ligneo, serramenti in policarbonato ed una copertura coibentata. Così ha commentato Salvatore Russo, relatore della tesi e professore di Tecnica delle costruzioni:

“È stata un’esperienza eccezionale dal punto di vista dell’utilità sociale. Non è scontato riuscire a concludere un progetto che abbia veramente al centro l’altruismo e la solidarietà. E ci siamo riusciti. Il riutilizzo della Glass House in un campo profughi - esperienza che speriamo di concludere e portare a buon fine in tempi brevi - è un raro esempio di virtuosismo pedagogico e accademico. Il merito va alle tre studentesse, ora architette, che ci hanno creduto sino in fondo.”

È stata recentemente stretta una collaborazione tra lo IUAV e la Ong NAOMI Workshop Thessaloniki che supprota la QRT al fine di portare avanti progetti sul tema e la realizzazione della Glass House. Per lo stesso motivo è stata aperta una raccolta fondi per la realizzazione del progetto, trasporto dei materiali, montaggio ed acquisto dei nuovi elementi.


Wildfarm, metafisica rurale nella campagne toscane

wildfarm2.png

La campagna toscana si caratterizza per la presenza di piccoli casolari abbandonati o fatiscenti, memoria dei tempi che furono. A far rivivere uno di questi casolari è lo Studio Milani, rivisitando il concetto di ruralità e riportandolo verso il contemporaneo.

Il casolare domina la Val di Cecina posto in un’altura naturale e rivolto verso la città di Volterra in un contesto paesaggistico eccezionale, quasi idilliaco. I due volumi di nuova costruzione dall’aspetto scolpito, quasi realmente dedotti da rocce naturali affioranti presentano coperture inclinate.

La vera unicità del progetto sta però non tanto nei volumi prismatici quanto nelle loro connessioni all’edificio esistente che avviene attraverso l’uso sapiente di acciao corten e vetro. La pietra come altro materiale principe del progetto funge da legante tra i vari livelli dell’edificio, dal piano terra fino al piano interrato dei nuovi volumi che funge da parcheggio, e si apre poi verso l’esterno andando a costituire un’ampia area terrazzata dove trovo posto la suggestiva piscina.

Il rapporto con l’esterno e con il paesaggio è continuo e reciprocamente attivo, in un continuo rimando tra la valle e l’oliveto, enfatizzato da un bow-window emergente rispetto alla superfice netta della parete, e rimarcato dall’uso del corten che ritorna anche in copertura lungo le linee di gronda. Così descrive le intenzioni progettuali i progettisti dello Studio Milani:

“Il concetto progettuale segue l’intenzione della messa in scena di un vero e proprio manifesto programmatico, ovvero, quello di poter affidare all’architettura autenticamente contemporanea, e convintamente antivernacolare, la mediazione tra contesto rurale e valore paesaggistico. Particolare attenzione è stata posta al rapporto tra forma e funzione facendo emergere le molte contraddizioni che una selvaggia agrituristizzazione della Toscana ha posto negli ultimi decenni, con conseguenti malintesi di carattere etico, culturale e tecnico. Perché continuare ad usare una forma insediativa pensata per lo più per assecondare i metodi del lavoro mezzadrile oggi scomparsi da decenni? Altro punto centrale del progetto è il tentativo di superare il pretestuoso antagonismo tra bellezza e verità cercando di limitare i formalismi, affidandosi alla spigolosa tridimensionalità della geometria classica, la più adatta alla luce del Tirreno che qui arriva a folate di scirocco”.


Fuorisalone 2022, un portale verso l’innovazione

fuorisalone.png

Ad opera di Daniel Arsham, presso il cortile del Palazzo Senato a Milano è stato installato un portale, installazione che prende il nome di Divided Layers.

L’insieme risulta assolutamente suggestivo e ha attirato molti esperti del settore e curiosi al palazzo in Via Senato 10. L’artista nella settimana del Design ha promosso il brand Kohler attraverso quella che potremmo chiamare arte esperienziale, un’opera immersive che consente di essere attraversata in una sorta di catartico processo artistico percettivo ed interiore.

L’occasione è anche il lancio da parte del brand del lavello progettato dallo stesso artista e che prende il nome di Rock.01. Si tratta di un lavello interamente stampato in 3D e frutto della collaborazione già dal 2021 dell’artista newyorkese e dell’azienda leader nel design e nell’innovazione. Una tecnologia quella della stampa 3d della porcellana vitrea all’avanguardia che asseconda le esigenze di design dell’artista, dedito a forme complesse. Il riferimento al nuovo prodotto viene esplicitato dall’installazione, Divided Layers prende il nome proprio dalla sovrapposizione di piani di argilla o layers per la stampa 3d. Come afferma l’artista:

"Il flusso dell'acqua viene sperimentato sia nello spazio negativo che in quello positivo, indipendentemente dalla 'funzione' di una forma, in Divided Layers, i visitatori sperimentano di essere all'interno del lavandino, è come se il fruitore diventasse un pezzo funzionale dell'oggetto di design."

Uno specchio d’acqua con al centro un passaggio introduce al tunnel costituito da sette pannelli posti in successione, i sette pannelli riportano l’ingombro del volume del prodotto al negativo, quindi una inversione della matericità. Nella parte interna prosegue lo specchio d’acqua che funge anche da moltiplicatore degli spazi.

Uno degli obiettivi dell’artista era proprio quello di concedere ai visitatori un nuovo punto di vista dello spazio ed allo stesso tempo trasmettere una sorta di smaterializzazione dello stesso.

L’inserimento poi all’interno del palazzo storico rende il tutto ancora più efficace, un contrasto di successo, che vede inoltre riproporre il ritmo delle colonne delle balconate nella successione dei sette pannelli.