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Edilizia privata: la distinzione tra variante, variazione essenziale e difformità parziale sulla scorta di interessanti pronunce giurisprudenziali

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Sul tema prendiamo spunto dalla Sentenza n.52977/2018 della Corte di Cassazione, con la quale ricorre il progettista e direttore dei lavori di un cantiere contro pronuncia della Corte d’Appello, oggetto di ricorso è l’errata applicazione dell’art.32 “Determinazione delle variazioni essenziali” del Testo Unico per l’Edilizia.

Il professionista trasmetteva al comune di ricadenza dell’immobile oggetto di opere richiesta ai fini dell’ottenimento del Permesso di Costruire in variante, seppure fosse necessaria l’istanza per l’ottenimento del nuovo titolo abilitativo edilizio considerando non la variante, bensì la variazione.

Sulla base del suo operato il tecnico contesta le risultanze della Corte d’Appello per aver modificato la sagoma del fabbricato eliminando una sporgenza triangolare, pertanto essendo essa variante in difetto, a suo giudizio non rientrerebbe nel regime delle “variazioni essenziali”. In particolare articola la sua tesi riconducendosi agli interventi di ristrutturazione edilizia, sostenendo il mutamento non possa rientrare tra i fattori tecnici per i quali occorra un autonomo Permesso di Costruire. Sulla base di ciò la Corte d’ Appello trae la logica conclusione le modifiche proposte dal tecnico non siano tali da poter rientrare nel concetto di variante, bensì in quello delle variazioni essenziali per le quali previsto conseguire un nuovo permesso di costruire, più concretamente la struttura edilizia risultava differente per una cubatura di mc.100,00, per sagoma e diversa allocazione rispetto al progetto autorizzato.

La Corte di Cassazione rilevando che, pure, la planimetria depositata in Comune con il progetto, rigettato, in variante, indicasse in modo errato la superficie del lotto ed, oltremodo, non rappresentasse le opere già realizzate in difformità al progetto originario, deduce le citate differenze si riscontrino anche nell’aver rappresentato il professionista una sagoma rettangolare, ovvero diversa in quanto priva della sporgenza triangolare, e di aver traslato il manufatto edilizio venendo meno anche al rispetto delle distanze legali.

È dalla superiore sentenza della Corte di Cassazione che si possono estrarre le tre interessanti definizioni sul concetto di variante al permesso di costruire, come distinte in varianti leggere o minori, varianti in senso proprio e variazioni essenziali:

Varianti leggere o minori: “ovvero quelle che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia e sono tali da non alterare la sagoma dell'edificio (nonché rispettose delle prescrizioni eventualmente contenute nel permesso a costruire), per cui sono assoggettate alla mera denuncia di inizio attività, da presentarsi prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori;”

Varianti in senso proprio: “consistenti in modificazioni qualitative o quantitative, seppure di consistenza non rilevante rispetto al progetto approvato (che non comportano cioè un sostanziale e radicale mutamento), le quali necessitano del rilascio del "permesso in variante", complementare ed accessorio rispetto all'originario permesso a costruire;”

Variazione essenziali “caratterizzate da "incompatibilità quali-quantitativa con il progetto edificatorio originario rispetto ai parametri indicati dall'art. 32 del D.P.R. n. 380/2001, le quali sono perciò soggette al rilascio di un permesso a costruire nuovo ed autonomo rispetto a quello originario in osservanza delle disposizioni vigenti al momento di realizzazione della variante”.

Sulle citate distinzioni sono molteplici le pronunce giurisprudenziali, tra queste cito il Consiglio di Stato, Sezione VI, Sentenza n.1484/2017, nella quale contraddistinte le varianti dalle variazioni essenziali, in un caso ove impugnati provvedimenti emessi dal Comune e della Sopraintendenza per i Beni Architettonici, il Paesaggio e il Patrimonio Storico e Artistico e Etno-Antropologico.

Il ricorrente durante i lavori di sostituzione di una tettoia realizzava, senza autorizzazione, due lucernai al servizio degli appartamenti al piano ultimo del fabbricato, riceveva, pertanto, ordine di demolizione per le opere eseguite in difformità al progetto e alle prescrizioni tecniche comunali, ordine confermato prima dal Tribunale Amministrativo Regionale e dopo dal Consiglio di Stato.

Dalla sentenza si ricava testualmente: “il concetto di variazione essenziale attiene alle modalità di esecuzione delle opere, mentre le varianti riguardano la richiesta di variazione del titolo autorizzativo”, inoltre, è ribadito anche il concetto di variante e di variazione essenziale “le varianti, a loro volta, si distinguono in varianti essenziali e in modificazioni qualitative o quantitative di non rilevante consistenza rispetto al progetto approvato tali da non comportare un sostanziale e radicale mutamento del nuovo elaborato rispetto a quello approvato, soggette al rilascio di un permesso in variante. Le varianti essenziali, sono caratterizzate da incompatibilità quali-quantitativa con il progetto edificatorio originario e sono soggette al rilascio di un permesso di costruire del tutto nuovo ed autonomo rispetto a quello originario. Ai fini sanzionatori, in caso di variazioni essenziali è prevista la demolizione delle opere abusive”.

La variazione essenziale deve, pertanto, essere equiparata alla mancanza del permesso di costruire, pertanto alle difformità totali.

In tema di difformità parziale, invece, si ha riferimento giurisprudenziale dalla Sentenza n.55483/2018 della Corte di Cassazione, Sez. III, secondo cui l’astrazione debba riferirsi agli aumenti di cubatura o di superficie di scarsa consistenza, e le variazioni riguardare, invece, parti accessorie che non abbiano specifica rilevanza.

Nel ricorso in oggetto il Tribunale ordinario eleva sanzione pecuniaria nei confronti dei ricorrenti ritenuti responsabili del reato di cui all’art.44 lettera a) del Testo Unico per l’edilizia, per avere realizzato maggiore cubatura, superficie e altezza di un edificio, in difformità dal Permesso di Costruire. L’importante contributo dal testo della sentenza de quò, da ricondursi alla esecuzione di interventi in parziale difformità, definisce quest’ultimo essere il concetto da attribuire alle circostanze nelle quali l’aumento del volume o della superficie sia di modesta entità, mentre la variazione essenziale si riscontra nelle medesime modifiche laddove interessanti parti accessorie di non specifica rilevanza.

Dott. in Ing. e Geom. Donatella Salamita


Il tecnico e l’edilizia privata: responsabilità, abusi edilizi ed obbligo di denuncia agli enti

responsabilità del progettista, art. 481 codice penale

ABUSI EDILIZI PREESISTENTI NELL'EDIFICIO DA RISTRUTTURARE PROCEDURA E PRASSI, RUOLO DEL TECNICO RESPONSABILITA' PENALE SEGRETO PROFESSIONALE

Il tecnico e l’edilizia privata: responsabilità, abusi edilizi ed obbligo di denuncia agli enti, non vi è correlazione alcuna con il segreto professionale

1) Il professionista che, incaricato dal privato per la progettazione di una ristrutturazione, come agisce nel caso in cui rilevi difformità edilizie nell’immobile?

2) Il ruolo del tecnico - progettista

3) La prassi corretta laddove il committente crei insistenze per il completamento della prestazione professionale

4) Trattazione di un caso pratico: “il committente si rivale sul tecnico – progettista per non aver inteso presentare progetto di ristrutturazione per l’immobile nel quale presenti abusi edilizi”

5) L’azione immediata del professionista

6) Il segreto professionale: oggetto e complemento

7) Il segreto professionale al cospetto di ciò che attiene un immobile

8) La Fondazione Italiana del Notariato

1) Il professionista che, incaricato dal privato per la progettazione di una ristrutturazione, come agisce nel caso in cui rilevi difformità edilizie nell’immobile?

Preliminarmente il tecnico rende edotta la committenza circa lo stato di fatto dell’immobile, e, nel consigliare la regolarizzazione dell’abuso, ne effettua la valutazione, in primis se trattasi di “tolleranze costruttive” ai sensi dell’art.34 del D.p.r. 380/2001, quindi, se non soddisfatta la verifica, classificando le opere eseguite nel rispettivo regime abilitativo secondo i disposti del medesimo Testo Unico per l’Edilizia, si avranno, pertanto tre ipotesi di “sanatoria”:

  • comunicazione di inizio lavori asseverata, C.I.L.A., ai sensi dell’art.6-bis, comma 5, con versamento della sanzione di euro mille, se trattasi di opere che non abbiano interessato le parti strutturali dell’edificio, ovvero rientranti nell’attività edilizia libera;
  • permesso di costruire in sanatoria, ai sensi dell’art.36, se trattasi di interventi eseguiti in assenza o difformità dal medesimo titolo abilitativo edilizio o dalla S.C.I.A. in alternativa al permesso di costruire;
  • segnalazione certificata di inizio attività in sanatoria, ai sensi dell’art.37 se trattasi di interventi realizzati in sua assenza o difformità.

Le opere da “sanare” dovranno risultare conformi alla disciplina urbanistico-edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell’abuso e sia al momento della presentazione dell’istanza per l’ottenimento del permesso di costruire o della trasmissione della S.C.I.A. Nulla esclude il committente rifiuti di sanare le opere, talora anche elevando nei confronti del professionista pretese non legittime, in questo caso la figura del tecnico coincide con quella del progettista? In considerazione del fattore si stia trattando una fase tecnica priva di trasmissione del progetto allo Sportello Unico per l’Edilizia del Comune ove ricade l’immobile, nulla muta in relazione al ruolo del tecnico, la cui figura si deve ricondurre a quella del “progettista” anche in funzione dell’incarico ricevuto e per aver espletato le prestazioni professionali prima viste, quali i sopralluoghi, i rilievi dell’immobile, la rappresentazione grafica, nonché la comparazione tra lo stato di fatto e gli atti assentiti, l’analisi delle difformità e l’individuazione del regime edilizio nel quale rientrano e mediante il quale regolarizzarle.

2) Il ruolo del tecnico - progettista

Il tecnico è il professionista che, iscritto nel relativo albo, presta opera intellettuale la cui disciplina è regolata dal Codice Civile, artt. 2229 – 2238 e dal Codice Deontologico dell’Ordine Professionale di appartenenza.

La prestazione professionale si incentra su determinati principi tra i quali annoverare il rapporto di fiducia con il committente in stretta concomitanza con l’autonomia del tecnico nell’espletamento del mandato, ed in capo al quale deve corrispondere un adeguato compenso commisurato sia all’importanza dell’opera e sia al decoro della professione svolta.

Per quanto concerne la progettazione è noto essa consista nell’elaborare un progetto da non configurarsi nel senso stretto dei soli grafici, bensì in tutte le operazioni che ne permettono la redazione, progetto che naturalmente non può non essere redatto nel rispetto della disciplina urbanistico – edilizia e di ulteriore altra legislazione settoriale se l’immobile è assoggettato a vincolo, previa l’implicita e sempre dovuta osservanza dello Strumento Urbanistico, del Regolamento Edilizio Comunale, delle normative igienico – sanitarie, delle norme sulla prestazione energetica degli edifici e quanto altro necessario.

È durante le fasi di rilievo dell’edificio che il professionista acquisisce tutte le nozioni necessarie per concretizzane la successiva rappresentazione grafica, assume sin da quel momento il ruolo di esercente un servizio di pubblica utilità ai sensi dell’art.481 del Codice Penale. Inutile precisare lo stato di fatto dell’edificio, per norma e prassi, costituisca parte integrante e sostanziale di un progetto destinato al deposito in comune, dovendo corrispondere fedelmente ai luoghi, prevalendo su eventuali progetti precedenti, ragion per cui è consuetudine corredarlo della documentazione fotografica, relazione tecnica ed elaborati tecnici che, rispettivamente integrandosi, debbono fornire una corretta rappresentazione del manufatto edilizio.

Detto ciò emerge che l'errata rappresentazione formi ’illegittimità del titolo edilizio legandosi inscindibilmente alle dichiarazioni rese dal tecnico.

Il nesso logico di particolare riferimento riguarda il fattore la prestazione professionale prescinda, ragionevolmente, da ogni genere di richiesta del committente laddove essa non risultasse allineata con le disposizioni normative e regolamentari secondo un ordine gerarchico assolutamente superiore.

Onere del tecnico è mantenere inalterata l’integrità professionale quandanche il cliente si focalizzi ostinatamente al raggiungimento di un suo specifico scopo o di un interesse economico, nell'intento di realizzare interventi edilizi seppur venendo meno all'osservanza della norma, ovvero ignorando la presenza di un abuso edilizio, circostanza nella quale il ruolo del professionista deve coincidere con quello di garante anche tenuto conto delle conseguenze, comprese quelle di natura penale, non efficaci nei suoi soli confronti ma, bensì, anche nei confronti della committenza.

Entrando nel merito dei contenuti del d.P.R. 380/2001, l’art.29 “Responsabilità del titolare del permesso di costruire, del committente, del costruttore e del direttore dei lavori, nonché anche del progettista per le opere subordinate a segnalazione certificata di inizio attività” è al comma 3 ad essere reso oltremododo chiaro il concetto secondo cui la figura del progettista debba assorbirsi a colui che esercita un servizio di pubblica utilità. Ampia conferma si riscontra nella dichiarazione resa dal tecnico sotto forma di asseverazione nei titoli abilitativi edilizi: ”Il progettista, in qualità di persona esercente un servizio di pubblica necessità ai sensi degli artt.359 e 481 del Codice Penale, esperiti i necessari accertamenti di carattere urbanistico, edilizio, statico, igienico ed a seguito del sopralluogo, assevera che l’intervento, compiutamente descritto negli elaborati progettuali, è conforme agli strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi vigenti, nonché che è compatibile con la normativa in materia sismica e con quella sul rendimento energetico […]”.

Giuridicamente inteso debbano far capo al tecnico obblighi e responsabilità rilevanti rispetto a quelli di carattere generico, le cui conseguenze, per il venir meno, operano sia sul profilo civile, che su quello penale, a prescindere dal fattore la fase progettuale sia stata formalizzata con il solo conferimento dell’incarico professionale, ma non conclusasi con la presentazione del progetto all’ente preposto.

Al professionista che, in carenza dei requisiti e dei presupposti fondamentali, inoltra un progetto agli enti è ascrivile il reato di cui all’art.481 del Codice Penale “Delitto contro la fede pubblica” punito per falso ideologico commesso dall’esercente un servizio di pubblica utilità, ciò assume rilievo anche nella pronuncia della Corte di Cassazione Penale con la Sentenza 27699/2010: “Il progettista assuma la qualità di persona esercente un servizio di pubblica utilità anche con riferimento alla relazione iniziale che accompagna la denuncia di inizio attività e che quindi assumono rilevanza penale anche le false attestazioni contenute in questa relazione, qualora riguardino lo stato dei luoghi e la conformità delle opere realizzande agli strumenti urbanistici vigenti e non già la mera intenzione del committente o la futura eventuale difformità con le opere in concreto realizzate”.

La sentenza 27699/2010 definisce esaustivamente la circostanza nella quale il progettista, ignorando le verifiche obbligatorie, attesti falsamente, trasmettendo il progetto al Comune, casistica comportante, a sua volta, l’onere per l’amministrazione comunale, chiaramente in quei pochi casi nei quali rilevato l’”errore”, di dover denunciare le irregolarità commesse dal tecnico al Consiglio di Disciplina dell’Ordine Professionale ove iscritto per le eventuali sanzioni disciplinari

3) La prassi corretta laddove il committente crei insistenze per il completamento della prestazione professionale

La abbiamo trattata sinora, la stessa deve, naturalmente, concludersi con la risoluzione del mandato professionale, per tutti i motivi citati, considerando la responsabilità dei soggetti implicati in un processo edilizio (proprietario, progettista, direttore dei lavori) laddove siano iniziati i lavori, maturi immediatamente nel momento in cui realizzate opere in difformità rispetto al titolo, così come nel caso in cui un intervento sia assoggettato al regime della richiesta del permesso di costruire ma venga trasmesso un titolo abilitativo edilizio minore, così come nel caso in cui si intervenga in un edificio nel quale presenti difformità, maturando in questi casi, e come prima citato, il reato di cui all’art.481 del Codice Penale, come conferma la Corte di Cassazione Penale con la Sentenza 30401/2009.

4) Trattazione di un caso pratico: “il committente si rivale sul tecnico – progettista per non aver inteso presentare progetto di ristrutturazione per l’immobile nel quale presenti abusi edilizi”

Siamo giunti in un periodo nel quale non escludere l’ipotesi del committente che, mirando esclusivamente alla fruizione delle agevolazioni fiscali in edilizia, in particolare il cd. “Superbonus 110%” e delle opzioni alternative alla detrazione, quali lo sconto in fattura e/o la cessione del credito, fin tanto che furono vigenti, sia egli medesimo d’ostacolo per il corretto adempimento del mandato professionale del tecnico incaricato.

Poniamo la circostanza nella quale il professionista, ricevuto l’incarico avente ad oggetto lo studio di fattibilità degli interventi oggetto di detrazioni, nonché la progettazione e la successiva direzione lavori, nonostante la semplificazione introdotta al comma 13-ter dell’art.119 del decreto Rilancio, non più comportante l’attestazione dello stato legittimo dell’immobile, stabilisca di operare secondo diligenza, ragion per cui si “cimenta” all’analisi di tutta la documentazione edilizia in possesso del cliente e depositata presso gli enti, effettua gli opportuni accertamenti, rilievi e misurazioni in sito e ricava l’edificio non sia conforme né rispetto ad una Autorizzazione Edilizia ottenuta anni prima e né rispetto ad una successiva S.C.I.A. Oltremodo il professionista incaricato analizzando i citati titoli edilizi precedenti ravvisa siano carenti, il primo, della comunicazione del termine dei lavori, ed il secondo del collaudo amministrativo, deducendone le risultanze normative.

Portato il committente a conoscenza della questione lo ragguaglia, come abbiamo accennato al paragrafo 1, circa la necessità di trasmettere, preventivamente alla pratica edilizia per l’avvio dei lavori agevolati, il progetto finalizzato alla regolarizzazione degli abusi, facendo, altresì, presente che in caso contrario pena la rinuncia all’incarico professionale per impossibilità a procedere.

Come trattato nel presente il committente è la figura che affidandosi al professionista, secondo un rapporto di fiducia, deve pretendere questo agisca secondo scienza e coscienza con il dovere dell’osservanza di ogni principio etico, deontologico ed operativo legato allo svolgimento della sua professione, fattore sul quale il committente non sempre conviene.

Alla luce di ciò, sovente la committenza richiede altri pareri e nel rivolgersi ad un altro professionista, purtroppo, non solo riesce a raggiungere il suo scopo venendo meno ad ogni logica legislativa, inconsapevole di ogni possibile problematica futura soprattutto se derivante dai controlli da parte del fisco inerenti la indebita fruizione delle agevolazioni fiscali, ma più gravemente la committenza in questione viene diretta verso una concezione non legittima sotto nessun profilo.

Non sono casi, purtroppo rari, anzi con più costanza si verifica il privato riesca ad individuare un tecnico che, senza effettuazione di alcuna verifica in senso alla legittimità urbanistico – edilizia del manufatto edilizio, così come dal punto di vista strutturale ed antisismico, asseveri facilmente i futuri interventi da realizzare, conducendo il soggetto titolare non solo in una convinzione scorretta, ma ponendolo nella posizione dei rischi derivanti dall’illecito edilizio e dalle frodi fiscali.

Tornando al nostro esempio, la casistica in questione si conclude con l’azione del committente giungendo a denunciare il precedente tecnico per essersi, giustamente e legittimamente, rifiutato di rendere false attestazioni ed asseverazioni, pertanto di presentare un progetto. L’accusa del committente nei confronti del professionista ha ad oggetto essere egli causa della perdita delle agevolazioni fiscali.

5) L’azione immediata del professionista

Chiaramente ciò che porta ad agire il tecnico è far luce sulla motivazione impeditiva del prosieguo del rapporto professionale, quindi sulla presenza degli abusi edilizi nel fabbricato, per fare ciò richiede agli enti preposti gli opportuni e dovuti accertamenti. In relazione alla pendenza della denuncia elevata dal committente presso il Consiglio di Disciplina dell’Ordine Professionale nel quale iscritto il tecnico, è in sede di audizione di questi che, inopportunamente, l’organo giudicante eccepisce il venir meno del professionista al cd. “segreto professionale” con la richiesta di accertamento agli enti circa gli abusi edilizi, ciò nonostante letteratura, annotazioni e pronunce giurisprudenziali, nonché normativa e provvedimenti vigenti classifichino tale segreto professionale in tutt’altra sfera giuridica.

6) Il segreto professionale: oggetto e complemento

Il segreto professionale è giuridicamente definito un’“obbligo normativo per alcune figure professionali, quali il libero professionista, il lavoratore dipendente ed il dipendente pubblico, cui imposto non rivelare o pubblicizzare informazioni delle quali venuti a conoscenza per motivi di lavoro e soprattutto per le quali è imposto uno specifico obbligo di segretezza”.

Coincide con un vincolo di riservatezza ma attiene solo ed esclusivamente i dati sensibili conosciuti in relazione e durante l’attività svolta, nulla vi ha a che vedere e rileva ai suoi fini se costituente informazioni di pubblico dominio, rientrano tra queste tutte quelle inerenti un immobile, proprio per l’assenza del requisito di segretezza.

Come accennato oggetto dell’assoluto mantenimento del segreto professionale sono solo i dati sensibili, ovvero tutte le informazioni che, permettendo di identificare un soggetto, ne rivelano caratteristiche proprie, abitudini, stile di vita, relazioni personali, stato di salute, patrimoniale, e così via, vi rientrano i dati anagrafici, le immagini, il codice fiscale, il numero di targa, ed ancora i dati svelanti l’origine razziale o etnica, la declinazione religiosa, ideologica.

Si annoverano tra i dati sensibili anche le comunicazioni telefoniche o avvenute a mezzo internet, la geolocalizzazione e tutte le informazioni che, in genere, rivelano gli spostamenti e/o i luoghi frequentati, inoltre il Regolamento UE 2016/679 include i dati genetici, i dati biometrici ed i dati afferenti l’orientamento sessuale.

Sono protetti da tutela del segreto professionale i dati “giudiziari” riguardanti le condanne penali ed i reati, le qualità di imputato o di indagato, e, come introdotti dal Regolamento UE sopra citato, i dati relativi alle condanne ed ai reati connessi con le misure di sicurezza.

Ai sensi del Regolamento UE 2016/679 per quanto concerne il trattamento dei dati personali del cliente, da parte del Titolare, il professionista, il riferimento specifico è ampiamente ricondotto all’indirizzo, al codice fiscale, e quanto previsto al punto 1, paragrafo 1, dell’articolo 4, spetta, pertanto, al Titolare del trattamento dei dati personali tutelare, con o senza mezzi automatizzati, esclusivamente ciò che riguarda la “protezione” dei dati sensibili, mediante la raccolta, la registrazione, la limitazione, la cancellazione o la distruzione e così via, come disposto dal punto 2, paragrafo 1, articolo 4 del Regolamento UE 2016/679.

A rigor di logica ed a scanso di ogni mera interpretazione secondo il dettato normativo ed il Codice Deontologico il professionista, nel non venir meno al segreto professionale, ha il dovere e l’obbligo di mantenere la massima riservatezza sull’attività prestata, sulle informazioni fornite dal cliente e su quelle di cui venuto a conoscenza in dipendenza del mandato, obbligo permanente anche a conclusione del mandato professionale con valenza per i suoi dipendenti o collaboratori, rispondendone egli per l’eventuale infrazione da parte di questi ultimi.

Obbligo che chiaramente e senza dubbio attiene i dati sensibili come elencati e non fattori o elementi inconducenti derivanti da soggettive interpretazioni che ne viziano il legittimo raggio di applicazione.

7) Il segreto professionale al cospetto di ciò che attiene un immobile

Già precisato, non esiste attinenza alcuna tra quanto rientrante nel criteri del segreto professionale rispetto ai dati di un immobile, avvalorando la tesi, non l’ipotesi, l’azione del professionista consista, tra le varie, anche in un indiscusso dovere di tutelare l’interesse collettivo salvaguardato con la repressione dell’abusivismo edilizio.

La segnalazione di un illecito edilizio conforma, oltremodo, un rapporto di concomitanza dovuto al fattore rientri l’abuso tra i reati, ragion per cui ai sensi della normativa è “imposto” al professionista, nel ruolo da egli svolto, di denunciare l’illecito di cui si è venuti a conoscenza, sia per disposto del Codice Penale e sia nella veste del pubblico ufficiale che omettendo o ritardando la segnalazione all’autorità commette ulteriore illegittimità con prevista punizione.

Rientra nella medesima fattispecie la circostanza nella quale il professionista assolva al dovere anche nel corso di una controversia con un cliente, ovvero nel contesto di una procedura disciplinare, limitatamente al necessario o più ampiamente rispetto al fine da salvaguardare.

8) La Fondazione Italiana del Notariato

L’Ufficio Studi del Consiglio Nazionale del Notariato, ha diffuso il trattato “Il segreto professionale. La tutela del segnalante. Il divieto di comunicazione. La tutela della privacy” di Caterina Valia, dal trattato emerge in relazione al segreto professionale: “Il concetto di giusta causa consente di tracciare i limiti di operatività del segreto professionale giustificando la rivelazione della notizia ed esonerando il professionista da qualunque responsabilità; è necessario effettuare, quindi, un'attenta valutazione dei vari interessi coinvolti di volta in volta e, operando un bilanciamento tra le contrapposte esigenze, sacrificare la segretezza nelle ipotesi in cui sia necessario garantire l'attuazione di prevalenti finalità”.

Dott. in Ing. e Geom. Donatella Salamita


Autorizzazione Paesaggistica, indipendenza tra titolo abilitativo edilizio ed autorizzazione paesaggistica

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Partiamo dal presupposto che l’Autorizzazione Paesaggistica sia un atto autonomo richiesto in virtù di una specifica disciplina, con validità di cinque anni. Negli interventi di edilizia libera l’autorizzazione de quò risulta necessaria laddove presente vincolo paesaggistico, dovendo conseguire preliminarmente all’inizio dei lavori tale atto di assenso. Se volessimo dare uno sguardo al rapporto tra titolo edilizio ed autorizzazione paesaggistica, emerge dall’art.146 comma 9 del D.Lgs 42/2004 essere l’Autorizzazione Paesaggistica “atto autonomo e presupposto dei titoli edilizi” ragion per cui il titolo abilitativo edilizio non può essere rilasciato o reso effettivo senza il previo parere, nulla osta o autorizzazione favorevole da parte della Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali. Resta, comunque, come da costante giurisprudenza, valevole il fatto che la mancata acquisizione non renda illegittimo il titolo edilizio, più precisamente, trattandosi di due diverse tipologie di atti, autonomi l’uno rispetto all’altro. Le disposizioni del Testo Unico per l’Edilizia, d. P.R. 380/2001 in relazione agli atti di assenso Nell’introdurre la disciplina urbanistico – edilizia è l’art. 1 “Ambito di applicazione” al comma 1 a riportare il testo inerisca “i principi fondamentali e generali e le disposizioni per la disciplina dell’attività edilizia” facendo comprendere al lettore, al successivo comma 2, lo stesso testo unico per l’edilizia non attenga in alcun modo quanto riguardante normative settoriali specifiche, pertanto da quel punto di vista non ne legittima la liceità. In tal senso viene precisato, anche nel disciplinare l’attività edilizia non soggetta ad alcuna comunicazione allo Sportello Unico per l’Edilizia, ovvero al protocollo del Comune per gli enti sprovvisti di S.U.E., che non possano essere iniziati i lavori, sia nel recitare “Restano ferme le disposizioni in materia di tutela dei beni culturali e ambientali contenute nel decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (oggi decreto legislativo 42/2004), la normativa di tutela dell’assetto idrogeologico, e le altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia”. Non si limita ancora il concetto disposto dal T.U.E., ripreso, ulteriormente al comma 1 dell’art.6 “Attività edilizia libera”, che testualmente recita: “Fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, delle norme antisimiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.42, i seguenti titoli sono eseguiti senza alcun titolo abilitativo edilizio […]”, proseguendo il disposto normativo con la elencazione delle opere. Resta inteso che il mancato conseguimento dell’autorizzazione paesaggistica sia condizione di inefficacia, ma non di validità del titolo edilizio come confermato al prima citato comma 9 dell’art.146: “i lavori non possano essere iniziati in difetto dell’autorizzazione paesaggistica, senza riferimento al titolo edilizio”.


L’architettura per il sociale, la Glass House dallo Iuav alla Grecia

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Un progetto di tre studentesse dell’istituto veneziano potrebbe diventare riparo per ragazze in un campo profughi di Diavata, a Salonicco.

Il padiglione della Glass House era stato progettato in occasione degli Open Day del 2018 e da allora installato nel chiostro dei Tolentini. Le tre studentesse hanno ripreso il padiglione e nella loro tesi di laurea dal titolo “Architetture umanitarie: riprogettare la Iuav Glass House per le ragazze del campo profughi di Diavata” lo hanno reinterpretato in chiave diversa.

Il progetto iniziale aveva come scopo quello di realizzare un riparo emergenziale, il viaggio a stretto contatto con i profughi del campo di Diavata ha poi spostato gli obiettivi progettuali verso qualcosa di più, che prede ora il nome di Spazio Venezia. Una Ong greca diretta da un italiano, la QRT Quick Response Team lavora sul posto per contribuire alle necessità primarie dei profughi ed anche al loro benessere attraverso la promozione di attività didattiche e ricreative. Da qui l’idea di trasformare la Glass House non in una struttura temporanea ma in una aula di fotografia, grazie anche al supporto del fotografo Mattiia Bidoli, ed in linea con i principi di sostenibilità e recycling.

La struttura infatti è realizzata con un materiale che deriva dal vetro, a cui si è poi aggiunto un tavolato ligneo, serramenti in policarbonato ed una copertura coibentata. Così ha commentato Salvatore Russo, relatore della tesi e professore di Tecnica delle costruzioni:

“È stata un’esperienza eccezionale dal punto di vista dell’utilità sociale. Non è scontato riuscire a concludere un progetto che abbia veramente al centro l’altruismo e la solidarietà. E ci siamo riusciti. Il riutilizzo della Glass House in un campo profughi - esperienza che speriamo di concludere e portare a buon fine in tempi brevi - è un raro esempio di virtuosismo pedagogico e accademico. Il merito va alle tre studentesse, ora architette, che ci hanno creduto sino in fondo.”

È stata recentemente stretta una collaborazione tra lo IUAV e la Ong NAOMI Workshop Thessaloniki che supprota la QRT al fine di portare avanti progetti sul tema e la realizzazione della Glass House. Per lo stesso motivo è stata aperta una raccolta fondi per la realizzazione del progetto, trasporto dei materiali, montaggio ed acquisto dei nuovi elementi.


La Manufacture, la nuova sede produttiva di Celine è nel Chianti

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La maison francese sceglie i paesaggi toscani per la sua nuova sede, il progetto lo firma MetroOffice. Per la precisione a Radda in Chianti dove l’immobile di circa 5.200 metri quadrati prende il posto di un edificio industriale abbandonato.

L’estetica è un binomio tra il moderno e il contemporaneo, dove anche luci ed ombre si scontrano. Il sistema di aperture strategicamente messo a punto e la sinergia tra i pieni e i vuoti valorizzano il paesaggio talvolta celandolo e talvolta mettendolo in primo piano. Ritornano alla mente la Maison de Verre di Pierre Chareau e Bernard Bijvoet per la capacità del complesso di risultare aperto ma al contempo chiuso in se stesso.

“Un disegno essenziale ed estremamente sensibile alle qualità̀ ambientali presenti nel territorio che trasforma la produzione in un vero e proprio luogo di bellezza.”

Queste le linee guida dei progettisti di MetroOffice Architetti, Fabio Barluzzi e Barbara Ponticelli, che interpretano la necessità non solo di fornire una sede produttiva ma di renderla anche piacevolmente vivibile dai suoi operai, in stretta connessione con i vigneti e le colline circostanti. E come sostiene Barbara Ponticelli:

“L’obiettivo del progetto è stato privilegiare la vista verso l’esterno per gli artigiani in modo che potessero avere il contatto visivo con il passare delle ore e delle stagioni.”

La posizione in altura, sulla collina ha favorito certamente le possibilità di sfruttamento della luce e delle viste panoramiche di cui si può godere. I materiali impiegati sono il cemento, l’acciaio, il vetro e il policarbonato alveolare; il vetro e il vetrocemento grigio per le pareti lascia la possibilità di traguardare a volte verso l’esterno. La struttura è costituita da lastre di cemento armato, colonne in acciaio, travi lignee in copertura con tetto in carpenteria metallica. Il progetto strutturale ha richiesto infatti l’intervento di competenze specifiche come quelle dell’ Ing. Roberto Ballardini:

“Le richieste architettoniche prevedevano la realizzazione di una facciata a sbalzo in vetrocemento di grande dimensione che attorniasse su tre lati l’edificio. Nello specifico la facciata presentava altezza massima di 7 metri, lunghezza complessiva 230 metri di cui tre fronti a sbalzo di 183 metri totali. La scelta strutturale doveva quindi tener conto delle azioni rilevanti dovute ai pesi posti sullo sbalzo, all’azione del vento e all’azione delle dilatazioni. Visti gli innumerevoli vincoli posti si è optato per una soluzione progettuale in acciaio in grado di assorbire sia gli sforzi che le dilatazioni trasmettendole direttamente alla struttura di copertura. La maglia strutturale ha messo in relazione tutte le parti dell’insieme costituendo legame e scheletro formale. Il progetto ha seguito una struttura gerarchica rigorosa: ossatura in profili tubolari, UPN a sostegno dei vetri, controventi in tondo, sistema di aggancio alle travi lignee, appoggi dei vetri sulle selle”.

Si articola su tre livelli e l’impianto planimetrico è ad "L" assecondando l’orografia naturale delle colline.

Il progetto rappresenta un modello di impianto industriale che rispetta il luogo ed il paesaggio che va ad occupare secondo criteri di qualità e sostenibilità.