Ai fini dell’affidamento condiviso è necessario che entrambi i genitori vivano nella stessa città del minore?
A questo interrogativo ha dato risposta la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 15815 del 17 maggio 2022.
Come è noto, ad introdurre l’istituto dell’affidamento condiviso è stata la legge 54/2006, la quale ha dato vita al cosiddetto “principio della bigenitorialità”, il quale sancisce il diritto del minore a mantenere un rapporto stabile con entrambi i genitori anche qualora questi ultimi siano separati o divorziati.
L'affidamento condiviso garantisce al bambino:
• l'esercizio effettivo della responsabilità genitoriale da parte di entrambi i genitori;
• la partecipazione di entrambi i genitori alla sua cura ed educazione;
• la necessità di prendere insieme le decisioni di maggiore interesse per il minore.
Secondo i giudici di piazza Cavour, “In tema di affidamento dei figli …, alla regola dell’affidamento condiviso dei figli può derogarsi solo ove la sua applicazione risulti “pregiudizievole per l’interesse del minore”, con la duplice conseguenza che l’eventuale pronuncia di affidamento esclusivo dovrà essere sorretta da una motivazione non più solo in positivo sulla idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo sulla inidoneità educativa ovvero manifesta carenza dell’altro genitore, e che l’affidamento condiviso non può ragionevolmente ritenersi precluso dalla oggettiva distanza esistente tra i luoghi di residenza dei genitori, potendo detta distanza incidere soltanto sulla disciplina dei tempi e delle modalità della presenza del minore presso ciascun genitore”.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'
Con l’ordinanza n. 17221/2021, la Cassazione ha stabilito che affidamento condiviso non vuol dire che i minori debbano permanere presso ciascun genitore al 50%.
La vicenda traeva origine dal fatto che, nel giudizio di separazione personale fra Sempronio e Mevia, la Corte d’Appello confermava l'affido condiviso della prole con collocazione presso la madre, ampliando i tempi di permanenza presso il padre durante le vacanze estive; inoltre, il giudice di merito revocava l'assegno di mantenimento previsto per l’ex moglie, rigettando la domanda di riduzione dell'assegno di mantenimento per i figli, già fissato in euro 550,00 per ciascuno, oltre adeguamento ISTAT e partecipazione al 50% alle spese straordinarie da corrispondere alla madre.
A questo punto, la vicenda approdava in Cassazione, davanti alla quale Sempronio, in particolare, asseriva che vi dovrebbe essere pari scansione temporale dei tempi di permanenza dei figli presso ciascun genitore e che la collocazione dei minori dovrebbe essere ripartita a settimane alterne.
Il Tribunale Supremo, ritenendo il ricorso infondato, precisava che il regime legale dell'affidamento condiviso, diretto a tutelare l’interesse morale e materiale della prole, deve tendenzialmente comportare, in mancanza di gravi ragioni ostative, una frequentazione dei genitori paritaria con il figlio; tuttavia, nell'interesse della prole, il giudice può individuare un assetto che si discosti da tale principio tendenziale, al fine di assicurare al minore la situazione più confacente al suo benessere.
Pertanto, la regolamentazione dei rapporti con il genitore non convivente non può avvenire sulla base di una simmetrica e paritaria ripartizione dei tempi di permanenza con entrambi i genitori, bensì deve essere il risultato di una oculata valutazione del giudice del merito che, partendo dall'esigenza di garantire al minore la situazione più adeguata al suo benessere e alla sua crescita armoniosa e serena, tenga anche conto del suo diritto a una significativa e piena relazione con entrambi i genitori e del diritto di questi ultimi a una piena realizzazione del loro rapporto con i figli e all'esplicazione del loro ruolo educativo.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'
La Legge n. 54 del 2006 e successive modifiche ha sancito il principio secondo cui la responsabilità genitoriale sui figli minori deve essere esercitata da entrambi i genitori: le figure genitoriali sono, dunque, poste sullo stesso piano. Al contrario, la scelta dell’affido esclusivo costituisce l’eccezione limitata ai casi di manifesta carenza o inidoneità educativa di un genitore, di sua obiettiva lontananza o di un suo sostanziale disinteresse per il minore. Il diritto alla bigenitorialità è posto al centro della “Convenzione sui diritti dell’Infanzia”, sottoscritta a New York il 20.11.1989 e resa esecutiva in Italia con la legge n. 176 del 1991; questo documento, infatti, riconosce “il diritto del fanciullo separato da entrambi i genitori o da uno di essi, di intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi i suoi genitori, a meno che ciò non sia contrario all’interesse preminente del fanciullo” (art. 9, comma 3). Con la risoluzione 2079 del 2015 (firmata anche dal nostro Paese), il Consiglio d’Europa ha invitato gli stati membri a promuovere la shared residence, che sarebbe “quella forma di affidamento in cui i figli dopo la separazione della coppia genitoriale trascorrano tempi più o meno uguali presso il padre e la madre”. Nonostante con sentenza 8 aprile 2019 n. 9764 la Corte di Cassazione abbia chiarito che la bigenitorialità deve portare ad una situazione di fatto idonea a garantire la presenza di ciascun genitore nella quotidianità del minore, con l’ordinanza n. 3652/2020, è tornata a ribadire il principio del collocamento “prevalente”. Collocamento “prevalente” vuol dire che l'affidamento del figlio sarà condiviso fra i genitori, ma lo stesso risiederà stabilmente presso uno di essi, il prescelto; dunque, il genitore collocatario avrà l'affidamento del figlio in percentuale maggiore rispetto all'altro. Nel caso di specie, il Tribunale di Reggio Calabria aveva affidato la figlia minore ad entrambi i genitori, con residenza prevalente presso la madre e l'assegnazione a quest'ultima della casa familiare, regolando conseguentemente i tempi di frequentazione del padre. In appello, il padre, opponendo a questa decisione, aveva chiesto che la figlia convivesse in maniera paritaria con entrambi i genitori. La Corte territoriale aveva respinto il ricorso, ritenendo che lo spostamento della residenza della minore, in tenera età, avrebbe causato un inutile turbamento alla sua attuale condizione di convivenza con la madre. Il padre aveva fatto così ricorso in Cassazione, lamentando la violazione dell’art. 337 ter c.c., oltre ad errori e omissioni da parte dei giudici di appello. Soprattutto, non sarebbe stata valutata la circostanza relativa ai turni lavorativi della madre, documentati dalla stessa nel procedimento di primo grado, e altre circostanze relative alla relazione tra i due ex conviventi e tra ciascuno di essi e la figlia. Con detta ordinanza la Suprema Corte conferma che nel momento in cui il giudice dispone l'affido condiviso di un minore, i genitori non possono pretendere che i tempi da trascorrere con il proprio figlio debbano essere perfettamente divisi a metà in base a un calcolo aritmetico. È necessario innanzitutto tener conto del diritto del minore a crescere in modo sano ed equilibrato. Di fronte a questo interesse primario vengono meno le problematiche lavorative dei genitori. “La regolamentazione dei rapporti fra genitori non conviventi e figli minori non può avvenire sulla base di una simmetrica e paritaria ripartizione dei tempi di permanenza con entrambi i genitori ma deve essere il risultato di una valutazione ponderata del giudice del merito che, partendo dalla esigenza di garantire al minore la situazione più confacente al suo benessere e alla sua crescita armoniosa e serena, tenga anche conto del suo diritto a una significativa e piena relazione con entrambi i genitori e del diritto di questi ultimi a una piena realizzazione della loro relazione con i figli e all’esplicazione del loro ruolo educativo”, hanno affermato gli Ermellini. Ai fini della decisione sull’affidamento dei figli minori, il giudizio prognostico che il giudice deve compiere nel loro esclusivo interesse morale e materiale, riguarda le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione causata dalla disgregazione dell'unione. Rilevano il modo in cui i genitori hanno in precedenza svolto i propri compiti, le capacità di relazione affettiva, di attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un costante rapporto, le abitudini di vita di ciascun genitore e l'ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore (Cass. Civ., ordinanza 10 dicembre 2018, n. 31902).
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'