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Affettività e intimità in carcere

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Affettività e intimità in carcere La Consulta si pronuncia sulla legittimità del controllo a vista sui colloqui con il partner, implicante per il detenuto “un vero e proprio divieto di esercitare l’affettività in una dimensione riservata, e segnatamente la sessualità”

La questione di legittimità costituzionale La vicenda prende avvio dalla questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Magistrato di sorveglianza di Spoleto, dell’art. 18 della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), «nella parte in cui non prevede che alla persona detenuta sia consentito, quando non ostino ragioni di sicurezza, di svolgere colloqui intimi, anche a carattere sessuale, con la persona convivente non detenuta, senza che sia imposto il controllo a vista da parte del personale di custodia», in riferimento agli artt. 2, 3, 13, primo e quarto comma, 27, terzo comma, 29, 30, 31, 32 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 3 e 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. In particolare, il Magistrato di sorveglianza di Spoleto ha evidenziato come “il controllo a vista sui colloqui con il partner implichi per il detenuto un vero e proprio divieto di esercitare l’affettività in una dimensione riservata, e segnatamente la sessualità”. Con particolare riguardo alla salvaguardia dei rapporti del detenuto con il convivente di fatto, il rimettente ha fatto riferimento all’art. 1, comma 38, della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), che ha parificato i diritti del convivente a quelli del coniuge nei casi previsti dall’ordinamento penitenziario. Inoltre, riferisce il rimettente, ai sensi del “comma 20 dell’art. 1 della stessa legge n. 76 del 2016, i diritti del coniuge in tema di colloqui penitenziari sono estesi anche alla parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso”.

Tutela dell’affettività del detenuto: necessario rimuovere il controllo a vista durante i colloqui

Il Giudice delle leggi ha ritenuto fondate le questioni proposte per le seguenti ragioni.

La Corte Costituzionale ha iniziato il proprio esame ricordando che “L’ordinamento giuridico tutela le relazioni affettive della persona nelle formazioni sociali in cui esse si esprimono, riconoscendo ai soggetti legati dalle relazioni medesime la libertà di vivere pienamente il sentimento di affetto che ne costituisce l’essenza”. Rispetto a dette relazioni affettive “Lo stato di detenzione può incidere sui termini e sulle modalità di esercizio di questa libertà, ma non può annullarla in radice, con una previsione astratta e generalizzata, insensibile alle condizioni individuali della persona detenuta e alle specifiche prospettive del suo rientro in società”. In ragione di tale presupposto, prosegue la Corte, la “questione dell’affettività intramuraria concerne (…) l’individuazione del limite concreto entro il quale lo stato detentivo è in grado di giustificare una compressione della libertà di esprimere affetto, anche nella dimensione intima; limite oltre il quale il sacrificio della libertà stessa si rivela costituzionalmente ingiustificabile, risolvendosi in una lesione della dignità della persona”. Passando all’esame del quadro normativo di riferimento, l’art. 18, terzo comma, ordin. penit., sottoposto al vaglio di legittimità costituzionale, dispone che i “colloqui si svolgono in appositi locali sotto il controllo a vista e non auditivo del personale di custodia”. Ne consegue pertanto la correttezza, a giudizio della Corte, dell’assolutezza interpretativa della norma nei termini evidenziati dal Giudice rimettente. Per quanto invece attiene ai profili d’illegittimità espressi dal rimettente, la Corte ha in particolare rilevato la prescrizione del controllo a vista, in quanto disposta in termini assoluti e inderogabili, si traduce in una compressione sproporzionata e irragionevole della dignità della persona, violando così l’art. 3 Cost. Tale limitazione potrebbe al più essere giustificata qualora, tenuto conto del comportamento del detenuto in carcere, potrebbero essere compromesse la sicurezza o il mantenimento dell’ordine e della disciplina. La Corte ha concluso il proprio approfondito esame, sopra riportato brevemente, affermando che “in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 CEDU, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 ordin. penit., nella parte in cui non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa, nei termini di cui sopra, a svolgere i colloqui con il coniuge, la parte dell’unione civile o la persona con lei stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia, quando, tenuto conto del comportamento della persona detenuta in carcere, non ostino ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell’ordine e della disciplina, né, riguardo all’imputato, ragioni giudiziarie”.