Il contratto di comodato d’uso è quel contratto con il quale un soggetto (il comodante) affida una cosa mobile o immobile ad un altro soggetto (il comodatario) per un determinato periodo di tempo, senza il pagamento di un corrispettivo.
Si tratta di un contratto ad effetti reali, gratuito e bilaterale imperfetto, dal momento che l’obbligazione sorge esclusivamente a carico del comodatario.
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che “Il carattere essenzialmente gratuito del comodato non viene meno per effetto della apposizione di un modus, posto a carico del comodatario, di consistenza tale da non poter integrare le caratteristiche di corrispettivo del godimento della res, come nel caso in cui venga stabilito, in relazione al godimento di un immobile, il versamento di una somma periodica, a carico del beneficiario, a titolo di rimborso spese, la cui entità lasci ragionevolmente escludere la dissimulazione di un sottostante contratto di locazione” (Cass. Civ., n. 4976/1997).
Per quanto concerne l’oggetto del comodato, occorre dire che possono comodarsi sia beni mobili che beni immobili; ovviamente, deve trattarsi di cose in commercio, perciò ne rimangono esclusi i beni demaniali, ecclesiastici, le armi da guerra e le merci di contrabbando.
Generalmente, la forma del contratto di comodato d’uso è libera e anche nell’ipotesi di comodato immobiliare di durata ultra novennale, non occorre che il contratto venga redatto per iscritto.
Inoltre, il limite di durata del contratto può risultare dal termine finale stabilito dalle parti oppure dall’uso specifico per il quale la cosa è concessa in prestito.
Nel contratto di comodato il comodatario è tenuto a custodire e conservare il bene concesso dal contratto con la diligenza del buon padre di famiglia e non può concederne il godimento a terzi senza il consenso del comodante, altrimenti quest’ultimo ha facoltà di richiedere non solo l’immediata restituzione del bene, ma anche il risarcimento dei danni.
Sebbene il contratto di comodato non sia soggetto ad alcun obbligo di registrazione, vi sono, tuttavia, casi in cui è bene stipulare il comodato per iscritto, ad esempio quando viene effettuato in ambito commerciale, e, dunque, occorre procedere alla registrazione dello stesso presso gli uffici dell’Agenzia delle Entrate.
Il termine per la registrazione del contratto di comodato avente forma scritta decorre dalla data dell’atto.
La registrazione deve essere fatta:
• entro 20 giorni dalla data dell’atto se non stipulato in forma notarile;
• entro 30 giorni dalla data dell’atto qualora sia stipulato in forma notarile, poiché in tal caso la registrazione viene effettuata attraverso il Modello Unico informatico (MUI)
• entro 60 giorni dalla data dell’atto qualora lo stesso sia formato all’estero (articolo 13 del DPR n. 131/86).
In caso di omessa registrazione del contratto di comodato si applicano delle sanzioni che vanno dal 120% al 240% dell'imposta dovuta; tuttavia, vi è la possibilità di ricorrere al cosiddetto ravvedimento operoso, che può essere applicato fino al momento in cui “la violazione non sia stata già constatata e comunque non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l’autore o i soggetti solidalmente obbligati, abbiano avuto formale conoscenza”.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'
Il modello 770 è un documento fiscale che i sostituti d'imposta, i quali per legge sostituiscono il contribuente nei rapporti con il fisco, sono tenuti a presentare all'autorità competente per la dichiarazione dei redditi.
In condominio, il sostituto d’imposta è l’amministratore, essendone quest’ultimo il legale rappresentante.
Ciò lo si evince dall’art. 23 del d.p.r. n. 600/73, secondo cui, “Gli enti e le società indicati nell'art. 87, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, le società e associazioni indicate nell'art. 5 del predetto testo unico e le persone fisiche che esercitano imprese commerciali, ai sensi dell'art. 51 del citato testo unico, o imprese agricole, le persone fisiche che esercitano arti e professioni il curatore fallimentare, il commissario liquidatore nonché il condominio quale sostituto d'imposta, i quali corrispondono somme e valori di cui all'art. 48 dello stesso testo unico, devono operare all'atto del pagamento una ritenuta a titolo di acconto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta dai percipienti, con obbligo di rivalsa. Nel caso in cui la ritenuta da operare sui predetti valori non trovi capienza, in tutto o in parte, sui contestuali pagamenti in denaro, il sostituito è tenuto a versare al sostituto l'importo corrispondente all'ammontare della ritenuta”.
Del resto, l'art. 1130 n. 5 c.c. specifica che l'amministratore è tenuto ad eseguire gli adempimenti fiscali e, in particolare, secondo l'art. 1129, ottavo comma, c.c., l'amministratore uscente è tenuto “ad eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto ad ulteriori compensi”.
Ciò significa che quest’ultimo deve inviare il modello 770 nell’ipotesi in cui la scadenza avvenga prima del passaggio di consegne; qualora non adempia a quest’obbligo, risponde al condominio dei danni, fermo restando l'obbligo del nuovo amministratore di riparare alla mancanza, provvedendo all'invio tardivo.
Il modello 770 deve essere presentato all'Agenzia delle Entrate entro il giorno 31 del mese di ottobre di ogni anno.
L’invio di detto documento fiscale può essere effettuato anche da un intermediario abilitato, il quale può provvedere anche alla completa predisposizione del modello.
È prevista l’applicazione di sanzioni amministrative nel caso in cui l’amministratore di condominio non provveda alla presentazione del modello 770 nei tempi e nei modi richiesti.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'
La registrazione del contratto di affitto è obbligatoria. Se non si provvede a questo adempimento il contratto è da considerarsi nullo. Questa nullità interessa soprattutto il proprietario dell'immobile, dal momento che in costanza di una locazione nulla, il locatore non può percepire i canoni concordati con l'inquilino e, in caso di morosità di quest’ultimo, non può nemmeno sfrattarlo, secondo la procedura prevista dalla legge.
Spetta al locatore dell'immobile provvedere alla registrazione del contratto. Più precisamente, per non incorrere in alcuna responsabilità, deve farlo “nel termine perentorio di trenta giorni, dandone documentata comunicazione, nei successivi sessanta giorni, al conduttore ed all'amministratore del condominio, anche ai fini dell'ottemperanza agli obblighi di tenuta dell'anagrafe condominiale di cui all'articolo 1130, numero 6), del codice civile”. Inoltre, nei casi di nullità di cui al comma 1 il conduttore, con azione proponibile nel termine di sei mesi dalla riconsegna dell'immobile locato, può chiedere la restituzione delle somme corrisposte in misura superiore al canone risultante dal contratto scritto e registrato” (Art. 13 Legge 431/1998).
L’art. 8 della Legge 392/1978 stabilisce che le spese di registrazione del contratto di locazione sono a carico del conduttore e del locatore in parti uguali. Ciò significa che la spesa in questione viene divisa al 50% tra il proprietario dell’immobile ed il conduttore, anche se in alcune occasioni è il locatore che si assume l'onere di versare l'intero tributo. Tuttavia, non bisogna trascurare che nei riguardi dell'Agenzia delle Entrate l'imposta grava su entrambi ed integralmente. In altre parole, proprietario e inquilino sono solidalmente responsabili qualora dovessero dimenticare di versare la tassa di registrazione. Essi potrebbero essere chiamati, anche separatamente, a pagare l'intero importo, fatta salva la possibilità di recuperare il dovuto dalla controparte.
Se si tratta di locazione di un immobile ad uso abitativo, la tassa di registrazione è pari al 2%. Questa percentuale va calcolata considerando il canone di locazione dovuto per un anno intero. Il risultato ottenuto dovrà essere, poi, moltiplicato per le varie annualità del contratto.
I contratti di locazione a canone concordato, che si riferiscono agli immobili siti all'interno dei cosiddetti Comuni "ad elevata tensione abitativa", usufruiscono di un'imposta agevolata. Difatti, in tali casi la tassa di registrazione dell'affitto è più bassa, dal momento che la base imponibile su cui va calcolato l'onere fiscale è ridotta al 70%. Inoltre, non vige l'obbligo di registrazione, qualora il contratto preveda una locazione di durata non superiore ai 30 giorni in un anno.
Nelle ipotesi di mancata di registrazione del contratto di locazione sono previste delle sanzioni. Più nello specifico, “chi omette la richiesta di registrazione degli atti e dei fatti rilevanti ai fini dell'applicazione dell'imposta è punito con la sanzione amministrativa dal centoventi al duecentoquaranta per cento dell'imposta dovuta. Se la richiesta di registrazione è effettuata con ritardo non superiore a 30 giorni, si applica la sanzione amministrativa dal sessanta al centoventi per cento dell'ammontare delle imposte dovute, con un minimo di euro 200” (Art. 69 Dpr 131/1986).
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'
La Cassazione ha precisato che “il locatore può optare per la cedolare secca anche nell’ipotesi in cui il conduttore concluda il contratto di locazione ad uso abitativo nell’esercizio della sua attività professionale”
Locazione dell’immobile per i dipendenti di una società
Il caso prende avvio dal ricorso proposto dal locatore di un immobile, dinanzi alla Commissione tributaria territorialmente competente, con il quale veniva impugnato l’accertamento operato dall’Agenzia delle Entrate per omesso versamento dell’imposta di registro da parte del contribuente rispetto ad un contratto di locazione, avente ad oggetto un immobile ad uso abitativo, destinato al legale rappresentante della società conduttrice.
La Commissione tributaria aveva respinto le doglianze del contribuente, ritenendo in particolare che “il comma 6 dell’art. 3, d.lgs. n. 23 del 2011 esclude l’applicazione del regime sostitutivo di tassazione (c.d. «cedolare secca») previsto dal comma 1, a favore del locatore persona fisica che non esercita attività imprenditoriale, «alle locazioni di unità immobiliari ad uso abitativo effettuate nell’esercizio di una attività d’impresa, o arti e professioni», perché in tale esclusione rientra anche l’ipotesi in cui sia il conduttore ad esercitare attività d’impresa o arti o professioni”.
Avverso tale decisione, il locatore aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione, sezione tributaria.
Regime di applicazione della cedolare secca
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 12395 del 07/05/2024, ha accolto il ricorso proposto e ha cassato la sentenza impugnata.
La Corte ha, nella specie, ritenuto che la censura avanzata dal ricorrente fosse fondata dal momento che il “proprietario o il titolare di un diritto reale di godimento di unità immobiliari abitative, e relative pertinenze, locate ad uso abitativo, che abbia optato per il regime della «cedolare secca», assolve il proprio obbligo tributario mediante versamento, in acconto e a saldo, della «cedolare secca»”.
A tal proposito, ha proseguito il Giudice di legittimità, i commi 1, 2, 4, 5 e 6 dell’art. 3, d.lgs. n. 23 del 2011, “non si applicano alle locazioni di unità immobiliari ad uso abitativo effettuate nell'esercizio di una attività d'impresa o di arti e professioni”.
Sulla scorta del quadro normativo sopra riferito, la Corte ha dunque evidenziato che, solo al locatore è riconosciuta “la possibilità di optare per il regime tributario della cedolare secca, senza che il conduttore possa in alcun modo incidere su tale scelta”.
Ne consegue, dunque, che l’esclusione dell’applicabilità del regime della cedolare secca riguarda esclusivamente le “locazioni di unità immobiliari effettuate dal locatore nell’esercizio della sua attività di impresa o della sua arte/professione, restando, invece, irrilevante la qualità del conduttore e la riconducibilità della locazione, laddove ad uso abitativo, alla attività professionale del conduttore”.
La Corte, partendo dal caso concreto alla stessa sottoposto, ha inoltre precisato che “l'Amministrazione finanziaria non ha poteri discrezionali nella determinazione delle imposte: di fronte alle norme tributarie, essa ed il contribuente si trovano su un piano di parità, per cui la cosiddetta interpretazione ministeriale, sia essa contenuta in circolari o risoluzioni, non costituisce mai fonte di diritto”.
Sulla base di quanto sopra riferito, il Giudice di legittimità ha concluso il proprio esame accogliendo il ricorso in virtù del seguente principio di diritto “in tema di redditi da locazione, il locatore può optare per la cedolare secca anche nell’ipotesi in cui il conduttore concluda il contratto di locazione ad uso abitativo nell’esercizio della sua attività professionale, atteso che l’esclusione di cui all’art. 3, sesto comma, d.lgs. n. 23 del 2011 si riferisce esclusivamente alle locazioni di unità immobiliari ad uso abitativo effettuate dal locatore nell'esercizio di una attività d'impresa o di arti e professioni. Pertanto la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con accoglimento dell’originario ricorso”.
Esonero contributivo del 100% per le lavoratrici
Dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2026 alle lavoratrici madri di tre o più figli è riconosciuto un esonero del 100 % della quota dei contributi previdenziali, nel limite massimo annuo di 3.000 euro riparametrato su base mensile
Con circolare n. 27 del 31.01.2024, l’INPS ha disciplinato quanto previsto all’art. 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2023, n. 213 (legge di Bilancio 2024), ovvero che “Fermo restando quanto previsto al comma 15, per i periodi di paga dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2026 alle lavoratrici madri di tre o più figli con rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, ad esclusione dei rapporti di lavoro domestico, è riconosciuto un esonero del 100 per cento della quota dei contributi previdenziali per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti a carico del lavoratore fino al mese di compimento del diciottesimo anno di età del figlio più piccolo, nel limite massimo annuo di 3.000 euro riparametrato su base mensile”. L’esonero è esteso, in via sperimentale anche alle lavoratrici madri di due figli.
A chi è rivolta la misura?
La misura è rivolta a tutte le lavoratrici madri, dipendenti di datori di lavoro sia pubblici che privati, anche non imprenditori, ivi compresi quelli appartenenti al settore agricolo, con l’esclusione dei soli rapporti di lavoro domestico che abbiano un rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato.
Per i periodi di paga dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2026, alle lavoratrici madri di tre o più figli, sino al compimento del diciottesimo anno di età del figlio più piccolo. Per il medesimo periodo, l’esonero contributivo trova applicazione anche per le lavoratrici madri di due figli, fino al compimento del decimo anno di età del figlio più piccolo.
L’INPS spiega che “La realizzazione del requisito si intende soddisfatta al momento della nascita del terzo figlio (o successivo) e la verifica dello stesso requisito si cristallizza alla data della nascita del terzo figlio (o successivo)”; inoltre “Per identità di ratio, il requisito dell’essere madre di due figli si intende perfezionato al momento della nascita del secondo figlio e si cristallizza con riferimento a tale data”.
Nel caso in cui il rapporto di lavoro a tempo indeterminato sia stato instaurato successivamente all’acquisizione dello status di madre, l’esonero in esame troverà applicazione dalla data di decorrenza del rapporto lavorativo stesso.
L’INPS precisa inoltre che l’esonero di cui trattasi spetta anche alle madri con bambini in adozione o affidamento.
In cosa consiste l’esonero contributivo?
L’esonero in questione si sostanzia in una misura agevolativa consistente nell’abbattimento totale della contribuzione previdenziale dovuta dalla lavoratrice, nel limite massimo di 3.000 euro annui, da riparametrare su base mensile.
Ne consegue che, la soglia massima di esonero contributivo, riferita al periodo di busta paga mensile, è pari a 250 euro.
Le suddette soglie massime di esonero sono riferite anche ai rapporti di lavoro part-time per i quali “non è richiesta una riparametrazione dell’ammontare dell’esonero spettante”.
Coordinamento con altre agevolazioni
Per quanto concerne il cumulo con eventuali ulteriori agevolazioni, l’INPS precisa che “l’esonero di cui all’articolo 1, commi 180 e 181, della legge di Bilancio 2024, risulta strutturalmente alternativo all’esonero sulla quota dei contributi previdenziali per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti (quota IVS) a carico del lavoratore previsto dall’articolo 1, comma 15, della medesima legge”.
Resta tuttavia ferma la possibilità per la lavoratrice, dal mese successivo alla fruizione di una delle due misure di esonero sopra citate, di ricorrere alla diversa e alternativa misura, salvo il possesso dei requisiti e dei presupposti legittimanti.
Come si richiede l’esonero contributivo?
L’Ente previdenziale si occupa anche di disciplinare le modalità operative per ottenere l’esonero in esame. A tal proposito, la lavoratrice può comunicare al proprio datore di lavoro la volontà di avvalersi dello strumento in trattazione, rendendo noti allo stesso il numero di figli e i loro codici fiscali.
I datori, una volta acquisita la suddetta richiesta, possono esporre nelle denunce retributive l’esonero spettante alla propria dipendente. Attraverso tali denunce l’INPS, in collaborazione con gli Enti competenti, svolge i controlli di coerenza di quanto dichiarato dalla lavoratrice e, qualora i dati comunicati non dovessero essere veritieri, lo stesso provvede al disconoscimento dell’esonero.
In alternativa, la lavoratrice può comunicare direttamente all’INPS i suddetti dati tramite apposito applicativo, di cui verrà dato atto sul portale istituzionale dell’Ente.
Nelle ultime sezioni della propria circolare, l’INPS si occupa di regolamentare le diverse Modalità di esposizione dei dati relativi all’esonero.