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Fondi previdenziali integrativi: il punto della Cassazione

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Con l’ordinanza n. 30699 del 3 novembre 2023, la Suprema Corte si è pronunciata in tema di fondi previdenziali integrativi fornendo alcuni importanti chiarimenti.

IL CASO

Mevia chiedeva il rimborso di parte delle ritenute operate sulla propria pensione complementare, erogatagli quale ex dipendente INAIL, per il periodo 2009-2012, per un importo di euro 5.204,00, in base al regime agevolativo di cui all’art. 11, comma 6, d.lgs. n. 252/2005. A fronte del silenzio-rifiuto dell’amministrazione fiscale, la contribuente proponeva ricorso respinto dalla Commissione tributaria provinciale sulla base della mancata emanazione del decreto legislativo previsto dall’art. 1, comma 2, lett. p, l. n. 243/2004, per cui ai dipendenti pubblici si applicherebbe tuttora la disciplina anteatta come disposto dall’art. 23, comma 6, del d.lgs. n. 252/2005. Anche la Commissione tributaria regionale, adita in sede d’appello, concludeva nel senso dell’ostacolo costituito dalla mancata emanazione del decreto attuativo, confermando la sentenza di primo grado.

LE CENSURE

A questo punto, Mevia si rivolgeva alla Cassazione sollevando le censure che seguono. Con il primo motivo di ricorso lamentava la violazione e la falsa applicazione degli artt. 11, comma 6, e 23, comma 6, d.lgs. n. 252/2005, in ordine all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. Secondo la ricorrente, quella erogata dall’INAIL era una pensione integrativa, per la quale dunque trovava applicazione il regime agevolativo di cui all’art. 11, comma 6, d.lgs. n. 252/2005, che prevede la tassazione al 15 %, ridotta peraltro dello 0,30 % annuo relativamente all’iscrizione al fondo per ogni anno eccedente il quindicesimo; poiché Mevia era stata iscritta per trentacinque anni, la stessa godeva della riduzione massima, pertanto la tassazione andava operata all’aliquota del 9%. Mevia sosteneva che il vincolo contenuto nell’art. 23, comma 6, d.lgs. n. 252/2005, fosse superato dal fatto che il decreto attuativo non era stato emanato nei termini previsti, per cui rimaneva inoperante. Con il secondo motivo la ricorrente lamentava la violazione e la falsa applicazione dell’art. 23, comma 6, d.lgs. n. 252/2005, relativamente all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., sotto altro aspetto, nel senso che la Commissione tributaria regionale non aveva esaminato la questione di legittimità costituzionale della citata norma, ove ritenuta vigente, per disparità di trattamento che ne deriva tra ex dipendenti pubblici ed ex dipendenti privati (da cui discende la violazione dell’art. 3 Cost.) ed anche per violazione dei principi e criteri direttivi (in violazione quindi dell’art. 76 Cost.).

LA PRONUNCIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE

La Cassazione dava torto alla contribuente. I giudici di piazza Cavour richiamavano due consolidati orientamenti della giurisprudenza di legittimità. In primo luogo, gli Ermellini ribadivano che “In tema di fondi previdenziali integrativi, ai sensi del d.lgs. 5 dicembre 2005, n. 252, art. 23, comma 7, per i lavoratori assunti antecedentemente al 29 aprile 1993, e che entro tale data risultino iscritti a forme pensionistiche complementari istituite alla data di entrata in vigore dalla l. n. 421 del 1992, ai montanti delle prestazioni maturate entro il 31 dicembre 2006 si applica il regime tributario vigente alla predetta data; ne consegue che il nuovo sistema di tassazione agevolata, introdotto dall'art. 11, comma 6, del d.lgs. n. 252 del 2005, ed in vigore dal 1° gennaio 2007, è inapplicabile ratione temporis ai cd. "vecchi iscritti" a "vecchi fondi"”. Inoltre, “In tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all'entrata in vigore del d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un Fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a), e art. 17, solo per quanto riguarda la "sorte capitale", corrispondente all'attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6; b) per gli importi maturati a decorrere dal 1° gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui al citato D.P.R. n. 917, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17”. Nella fattispecie esaminata, dal ricorso emergeva che la contribuente fosse una vecchia iscritta a vecchio fondo, con conseguente applicazione in radice del regime anteatto, senza che venisse dunque in rilievo la disposizione citata di cui all’art. 23, comma 6, d.lgs. n. 252/2005. Pertanto, il Tribunale Supremo respingeva il ricorso.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


Impugnazione nel processo tributario: decorrenza del termine breve

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Da quando decorre il termine breve per l’impugnazione nel processo tributario? A tale interrogativo ha fornito risposta la Suprema Corte con l’ordinanza n. 2303 del 25 gennaio 2023. Nella vicenda in esame, la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso di Tizio avverso un avviso di intimazione e la Commissione Tributaria Regionale dichiarava il ricorso dell'Agenzia delle entrate - Riscossione inammissibile stabilendo che dalla documentazione risultava che la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale depositata in data 28 giugno 2018 veniva notificata ad Agenzia delle entrate - Riscossione, a mezzo ufficiale giudiziario, in data 3 settembre 2018. L'atto di appello risultava notificato a mezzo PEC il giorno 24 gennaio 2019 e, dunque, oltre il termine previsto dall'art. 51 del d.lgs. n. 546 del 1992. A questo punto, l'Agenzia delle entrate - Riscossione si rivolgeva alla Corte di Cassazione lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 11, 12, 16, 38 e 51 del d.lgs. n. 546 del 1992, e 285 e 170 c.p.c., in ordine all'art. 360, comma 4, c.p.c., per l'erronea individuazione del termine decadenziale per la proposizione dell'appello, e, in particolare, per aver ritenuto idonea a far decorrere il termine per l'impugnazione la notifica della sentenza effettuata presso la parte personalmente, cioè presso la sede legale di Agenzia delle entrate - Riscossione, anziché al domicilio eletto presso il procuratore costituito e, di conseguenza, per aver ritenuto l'appello inammissibile per tardività del gravame. Nel ritenere la doglianza infondata, gli Ermellini precisavano che “In tema di notifica diretta all'ente territoriale, la notifica della sentenza di primo grado, effettuata dal contribuente direttamente all'ente locale tramite il servizio postale, ai sensi dell'art. 16, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, non presso la sede principale indicata negli atti difensivi, ma presso altro ufficio comunale diversamente ubicato, che abbia emesso (o non abbia adottato) l'atto oggetto del contenzioso, è valida e, quindi, idonea a far decorrere il termine di sessanta giorni per impugnare, ai sensi del combinato disposto degli artt. 38, comma 2, e 51, comma 2, del medesimo d.lgs. n. 546 del 1992”. In virtù di ciò, il Tribunale Supremo rigettava il ricorso.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


IMU prima casa: doppia esenzione possibile per persone sposate o legate da unione civile

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Con la sentenza n. 209/2022, la Corte Costituzionale si è espressa in tema di esenzione IMU per la prima casa. Più nello specifico, la Consulta ha evidenziato il diritto all’esenzione per ciascuna abitazione principale delle persone sposate o in unione civile affidando ai comuni e alle altre autorità preposte il compito di effettuare gli adeguati controlli richiesti. La Corte ha dichiarato illegittimo l’articolo 13, comma 2, quarto periodo, del D. L. n. 201/2011. Difatti, la disposizione in questione, fino al momento in cui non si costituisce il “nucleo famigliare”, permette a ciascun possessore di immobile che vi risieda anagraficamente e dimori abitualmente, di beneficiare pacificamente dell’esenzione IMU sulla prima casa, anche se unito in una convivenza di fatto; in tale ipotesi, i partner potranno godere di una doppia esenzione, dal momento che ciascuno di questi potrà considerare il rispettivo immobile come abitazione familiare. Al contrario, il matrimonio o l’unione civile precludono la possibilità di mantenere la doppia esenzione anche quando effettive necessità, quali quelle lavorative, costringano a optare per residenze anagrafiche e dimore abituali diverse. Secondo la Consulta, in “un contesto come quello attuale, caratterizzato dall’aumento della mobilità nel mercato del lavoro, dallo sviluppo dei sistemi di trasporto e tecnologici, dall’evoluzione dei costumi, è sempre meno rara l’ipotesi che persone unite in matrimonio o unione civile concordino di vivere in luoghi diversi, ricongiungendosi periodicamente, ad esempio nel fine settimana, rimanendo nell’ambito di una comunione materiale e spirituale”. Dunque, per la Corte Costituzionale è discriminante rispetto alle unioni di fatto non ritenere sufficiente, per ciascun coniuge o soggetto legato da unione civile, la residenza anagrafica e la dimora abituale in una determinata unità immobiliare, ai fini del riconoscimento dell’esenzione sulla prima abitazione.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


Riforma del processo tributario: tutte le novità

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Dal 16 settembre entra in vigore la Legge n. 130 del 31 agosto 2022, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 204 dell’1 settembre 2022, recante Disposizioni in materia di giustizia e di processo tributario. Il fine delle modifiche in questione è duplice. In primo luogo, si vuole portare la giustizia tributaria sullo stesso livello di quella civile, penale, amministrativa e militare, con la previsione di magistrati professionali assunti per concorso; in secondo luogo, si intende ridurre il contenzioso tributario con la previsione di: • un giudice monocratico per le cause fino a 3.000 euro (in ordine ai ricorsi notificati dal 1 gennaio 2023); • una definizione agevolata per i giudizi pendenti davanti la Corte di Cassazione al 15 luglio 2022 con la cancellazione delle liti fino a 100.000 euro con il pagamento del 5%, per i giudizi dove l'Agenzia ha perso entrambi i gradi del giudizio, e la cancellazione con il pagamento del 20% per le liti fino a 50.000 euro negli altri casi. Altresì, le Commissioni tributarie verranno sostituite dalle Corti di Giustizia Tributaria di primo e di secondo grado. Ulteriori importanti novità contemplate dalla riforma sono le seguenti: • l'onere della prova non sarà più a carico del contribuente, ma sempre a carico dell'Ente Impositore; • sarà ripristinata la prova testimoniale scritta (con decorrenza per i ricorsi notificati dal 16 settembre 2022); • sarà favorita la conciliazione e nel caso in cui la parte la rifiuterà, la stessa potrà incorrere nel pagamento delle spese di giudizio con una maggiorazione del 50%; • il processo telematico godrà di una migliore disciplina.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


L’AREA FABBRICABILE AUTONOMAMENTE ACCATASTATA È ESENTE DA IMPOSTA SE DI PERTINENZA DELL’IMMOBILE ATTIGUO?

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Con l’ordinanza n. 10381 del 31 marzo 2022, la Corte di Cassazione si è pronunciata in materia fiscale. Nella vicenda in esame, Tizio impugnava davanti alla Commissione Tributaria Provinciale l'avviso di accertamento ICI, notificato dal Comune relativo all'anno di imposta 2016 avente ad oggetto l'area fabbricabile autonomamente accatastata rispetto all'attiguo fabbricato. La Commissione Tributaria Provinciale rigettava il ricorso. La sentenza veniva impugnata dal contribuente e la Commissione Tributaria Regionale accoglieva l'appello constatando che l'area era esente da imposta poiché di pertinenza del prospiciente immobile. A questo punto, il Comune si rivolgeva alla Suprema Corte lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt.1, 2,5 e 10, d.lgs 504/92, in ordine all'art. 360, comma 1, nr. 3 c.p.c. Secondo l’ente ricorrente, la Commissione Tributaria Regionale aveva erroneamente ritenuto non tassabile l'area poiché pertinenza in mancanza di una espressa dichiarazione del contribuente. Il Tribunale Supremo stabiliva che “Al contribuente che non abbia dichiarato l'esistenza di una pertinenza non è consentito contestare l'atto con cui l'area asseritamente pertinenziale venga assoggettata a tassazione, deducendo solo nel giudizio la sussistenza del vincolo di pertinenzialità”. Nel caso di specie, l'ente aveva contestato al contribuente l'omessa dichiarazione ICI relativa alla porzione di area edificabile oggetto dell'accertamento, e la CTR non aveva accertato se il preteso asservimento dell'area in questione al fabbricato risultasse evidenziato nella denuncia ICI ritenendo al contrario di “non condividere l'assunto difensivo di parte appellante per cui la pertinenzialità fiscale debba sottostare a requisiti formali da quelli diversi del CC”. Dunque, i giudici di legittimità accoglievano il ricorso, cassavano l'impugnata sentenza e rinviavano alla Commissione Regionale in diversa composizione.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'