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La banca non concede il mutuo: quale responsabilità?

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Che tipo di responsabilità si configura in capo all’istituto di credito qualora quest’ultimo decida di non concedere il mutuo nonostante la fase avanzata delle trattative? A tale interrogativo ha fornito risposta la Suprema Corte con l’ordinanza n. 27262/2023.

IL CASO

I giudici di secondo grado respingevano l'appello e confermavano integralmente la sentenza del Tribunale, di rigetto della domanda risarcitoria proposta dalla società Beta nei confronti della banca Gamma per prospettata responsabilità precontrattuale per la mancata stipula di un contratto di mutuo, nonostante le trattative fossero giunte ad uno stadio avanzato, sia per prospettata responsabilità extracontrattuale da errata segnalazione in Centrale rischi, che le aveva precluso ulteriori finanziamenti bancari.

LE CENSURE

A questo punto la società Beta si rivolgeva alla Suprema Corte deducendo: • la violazione e falsa applicazione della norma di cui all'art. 1337 c.c. relativamente all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., nonché la violazione e falsa applicazione delle norme degli artt. 2697 c.c., 2727 c.c., 2729 c.c. e art. 116 c.p.c. in ordine all'art. 360 n. 3 c.p.c.; • la violazione e falsa applicazione della norma di cui all'art. 2049 c.c. e art. 2043 c.c. in ordine all'art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., nonché la violazione e falsa applicazione delle norme degli art. 2697 c.c., 2727 c.c., 2729 c.c. e art. 116 c.p.c. relativamente all'art. 360 n. 3 c.p.c.; • la violazione e falsa applicazione delle norme degli artt. 2043 e 2050 c.c. in ordine all'art. 360 n. 3 c.p.c., nonché la violazione e falsa applicazione delle norme degli artt. 2697 c.c., 2727 c.c., 2729 c.c., 116 c.p.c. e artt. 40 e 41 c.p. relativamente all'art. 360 n. 3 c.p.c.

LA PRONUNCIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE

La Cassazione, esaminando le tre censure congiuntamente, dava ragione alla società ricorrente Innanzitutto, i giudici di piazza Cavour richiamavano consolidato principio della giurisprudenza di legittimità, secondo cui “La responsabilità precontrattuale per violazione dell'art. 1337 cod. civ. presuppone anzitutto che tra le parti siano intercorse trattative giunte ad uno stadio tale da giustificare oggettivamente l'affidamento nella conclusione del contratto, inoltre che una delle parti abbia interrotto le trattative, eludendo le ragionevoli aspettative dell'altra, la quale, avendo confidato nella conclusione finale del contratto, sia stata indotta a sostenere spese o a rinunciare ad occasioni più favorevoli, ed infine che il recesso sia stato determinato, se non da malafede, almeno da colpa, e non sia quindi assistito da un giusto motivo. La verifica circa la sussistenza di tali condizioni impone un accertamento di fatto, riservato, come tale, al giudice del merito, il cui apprezzamento è incensurabile in sede di legittimità se scevro da vizi di illogicità della motivazione” (Cass., 16/11/2021, n. 34510; Cass., 07/05/2004, n. 8723; Cass., 14/02/2000, n. 1632). Il recesso o la sospensione delle trattative, provenienti da un privato o da una pubblica amministrazione, può essere causa di responsabilità precontrattuale qualora sia privo di giustificato motivo. Inoltre, per gli Ermellini, “La responsabilità precontrattuale, derivante dalla violazione della regola di condotta posta dall'art. 1337 cod. civ. a tutela del corretto dipanarsi dell'iter formativo del negozio, costituisce una forma di responsabilità extracontrattuale, cui vanno applicate le relative regole in tema di distribuzione dell'onere della prova. Ne consegue che, qualora gli estremi del comportamento illecito siano integrati dal recesso ingiustificato di una parte, non grava su chi recede la prova che il proprio comportamento corrisponde ai canoni di buona fede e correttezza, ma incombe, viceversa, sull'altra parte l'onere di dimostrare che il recesso esula dai limiti della buona fede e correttezza postulati dalla norma de qua”. Nel giudizio di merito era stata accertata l’intercorrenza di trattative tra la società Beta e l’istituto bancario, che, a seguito di svariati incontri erano arrivati all’accordo secondo cui la società acquistava cinque appartamenti accollandosi il relativo mutuo, a fronte di continue rassicurazioni dei funzionari, anche presenti alla stipulazione presso il notaio dell’atto pubblico di compravendita, relativamente alla erogazione del finanziamento richiesto dalla società. Pertanto, i giudici d’appello, nell’affermare che nessuna trattativa vera e propria era in essere con la banca e che la società beta non avrebbe dovuto fare affidamento sulle rassicurazioni dei funzionari della stessa in relazione alla certezza della concessione del finanziamento, non avevano osservato i suesposti principi di diritto, omettendone la considerazione in ordine alle risultanze probatorie acquisite. Infine, la Suprema Corte sottolineava che “Il danno patrimoniale derivante da indebita segnalazione alla Centrale Rischi della Banca d'Italia può essere provato dal danneggiato anche per presunzioni, potendo consistere, se imprenditore, nel peggioramento della sua affidabilità commerciale, essenziale pure per l'ottenimento e la conservazione dei finanziamenti, con lesione del diritto ad operare sul mercato secondo le regole della libera concorrenza, e, per qualsiasi altro soggetto, nella maggiore difficoltà nell'accesso al credito”. In virtù di ciò, i giudici di legittimità accoglievano il ricorso della società Beta.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


Invalidità della clausola anatocistica e rideterminazione del saldo del conto corrente

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Con l’ordinanza n. 18664/2023, la Suprema Corte, ha affermato che in un contratto di conto corrente, qualora venga indicato un valore del tasso di interesse creditore annuo nominale identico a quello effettivo, la clausola anatocistica è da considerarsi invalida.

IL CASO

La società Alfa conveniva in giudizio l’istituto di credito Beta al fine di ottenere la rideterminazione del saldo del conto corrente intrattenuto con la predetta banca. La società attrice asseriva che nel corso del rapporto erano stati addebitati interessi usurari e anatocistici, pertanto domandava l’accertamento della nullità delle pattuizioni relative alla commissione di massimo scoperto e alle spese del conto. Il giudice di prime cure pronunciava sentenza con la quale rideterminava il saldo del conto corrente in euro 24.184,76, a debito della correntista, a fronte di un saldo banca di euro 24.762,62. La società Alfa proponeva appello, che però veniva rigettato.

LA CENSURA

A questo punto, la società Alfa si rivolgeva alla Corte di Cassazione, lamentando, in particolare, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1344, 1283 c.c., 120 T.U.B. (D.lgs. n. 385/1993), 2 e 6 delib. CICR 9 febbraio 2000. Secondo la ricorrente, i giudici di secondo grado avevano riconosciuto la legittimità della capitalizzazione degli interessi debitori sebbene il contratto non provvedesse, di fatto, alcuna valida clausola di reciprocità. Difatti, la capitalizzazione degli interessi creditori non era stata prevista, avendo il contratto mancato di contemplare alcun incremento del tasso degli interessi attivi.

LA PRONUNCIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE

La Cassazione dava ragione alla società Alfa. I giudici di legittimità precisavano che “L'indicazione, in contratto, di un tasso annuo effettivo dell'interesse creditore corrispondente a quello nominale (e cioè di un tasso annuo dell'interesse capitalizzato coincidente con quello non capitalizzato) rende per un verso priva di contenuto la clausola anatocistica riferita agli interessi attivi - giacché sconfessa, nei fatti, che detti interessi siano soggetti a capitalizzazione - e non soddisfa, per altro verso, quanto esige il cit. art. 6” CICR del 9 febbraio 2000. Si possono pagare interessi su interessi esclusivamente nell’ipotesi in cui gli istituti di credito applichino in modo pedissequo quanto contemplato dalla normativa vigente (delib. CICR 9 febbraio 2000); contrariamente, ci si troverebbe di fronte alla fattispecie anatocistica vietata dall'art. 1283 c.c. Non basta che nel contratto venga specificata la pari periodicità degli interessi, bensì occorre che venga effettivamente applicata la capitalizzazione. Di conseguenza, qualora il tasso di interesse creditore annuo nominale sia uguale a quello effettivo vuol dire che l'anatocismo è stato applicato illegittimamente. In tali circostanze, il correntista può chiedere ed ottenere la rideterminazione del saldo del conto corrente e l’istituto di credito è tenuto a restituirgli tutte le somme versate indebitamente. Gli Ermellini concludevano enunciando il seguente principio di diritto: “La previsione, nel contratto di conto corrente stipulato nella vigenza della delib. CICR 9 febbraio 2000, di un tasso di interesse creditore annuo nominale coincidente con quello effettivo non dà ragione della capitalizzazione infrannuale dell’interesse creditore, che è richiesta dall’art. 3 della delibera, e non soddisfa, inoltre, la condizione posta dall’art. 6 della delibera stessa, secondo cui, nei casi in cui è prevista una tale capitalizzazione infrannuale, deve essere indicato il valore del tasso, rapportato su base annua, tenendo conto degli effetti della capitalizzazione”. In virtù di ciò, il Tribunale Supremo accoglieva la censura della società Alfa.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


Finanziamento estinto anticipatamente: è nulla la clausola che nega il rimborso dei costi

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Con l’ordinanza n. 25977 del 6 settembre 2023, la Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi in tema di mutuo bancario, si è ancora una volta espressa a favore del consumatore stabilendo che a quest’ultimo non può essere negato il rimborso dei costi nel caso in cui estingua anticipatamente il finanziamento.

SOMMARIO

1) Il caso 2) La Cassazione si schiera a favore del consumatore

Il caso

Tizio stipulava un contratto di finanziamento con una banca riuscendo ad estinguerlo anticipatamente; poiché gli veniva negata la restituzione dei costi non maturati, agiva in giudizio contro l’istituto di credito. Il Giudice di Pace rigettava la domanda del consumatore e il Tribunale confermava la decisione del primo giudice. In particolare, il Tribunale specificava che l’art. 125 del D.Lgs. 385/93, nel testo vigente al momento della stipulazione del contratto, non poteva essere applicato, in quanto la norma rinviava al CICR le modalità con le quali il consumatore, estinto anticipatamente il mutuo, avesse diritto alla riduzione del costo complessivo del credito. Per il Tribunale, in assenza di una norma attuativa che specificasse le modalità di esercizio del diritto, non era possibile procedere ad alcuna riduzione. L’art. 125 sexies del Testo Unico Bancario, inserito con il D.Lgs. 141/2010, che prevede il diritto del consumatore ad una riduzione del costo totale del credito in caso di estinzione anticipata del finanziamento, non era applicabile, in quanto tale norma era entrata in vigore dopo la conclusione del contratto e dopo il recesso del consumatore. Non era applicabile anche l’art. 33, lettera g) del Codice del Consumo (secondo il quale è presuntivamente vessatoria la clausola che consenta al professionista di trattenere anche solo in parte la somma versata dal consumatore a titolo di corrispettivo per prestazioni non ancora adempiute, quando sia il professionista a recedere dal contratto), dal momento che era stato il consumatore a recedere dal contratto e non la banca.

La Cassazione si schiera a favore del consumatore

Tizio, vedendosi negati i suoi diritti, si rivolgeva alla Suprema Corte, la quale gli dava ragione. Secondo la Suprema Corte, una clausola che esclude il diritto del consumatore al rimborso del costo totale del credito in caso di estinzione anticipata del finanziamento è nulla, in quanto determina uno squilibrio nel sinallagma contrattuale in danno del consumatore, permettendo all’ente finanziatore di trattenere somme parametrate all’intera durata del contratto nonostante la prestazione sia stata limitata ad un arco temporale inferiore. La Cassazione sottolineava l’importanza dell’applicazione dei seguenti principi di diritto: • “L’art.125 del TUB, nella formulazione antecedente alle modifiche inserite con il D.Lgs. n. 141 del 2010 prevede che, in caso di estinzione anticipata del finanziamento, il consumatore ha diritto ad un’equa riduzione del costo complessivo del credito, secondo le modalità stabilite dal CICR. In caso di assenza della norma integrativa o di norma integrativa che rinvii all’autonomia contrattuale, il consumatore ha diritto al rimborso di tutti i costi del credito, compresi gli interessi e le altre spese che il consumatore deve pagare per il finanziamento”. • “È nulla la clausola contrattuale che escluda il rimborso dei costi sostenuti, in caso di estinzione anticipata del contratto di finanziamento perchè determina a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, ai sensi dell’art. 33 del D.Lgs. 206/2005”.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


Rinegoziazione del mutuo: cos’è e come funziona

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Oltre alla surroga e alla sostituzione del mutuo, di cui abbiamo parlato precedentemente, un altro importante strumento di cui può beneficiare il consumatore è quello della rinegoziazione. Per rinegoziazione del mutuo si intende la revisione delle condizioni stabilite nel contratto originario nel caso in cui dovesse verificarsi un cambiamento delle esigenze economiche del consumatore. La rinegoziazione può riguardare la modifica di più elementi del contratto di finanziamento, come il tasso di interesse, lo spread, la tipologia di contratto e la durata. Condizione necessaria ai fini della rinegoziazione del mutuo è l’esistenza di un accordo condiviso tra l’istituto di credito e il cliente, e ciò in quanto né l’istituto di credito e né il mutuatario possono modificare unilateralmente le condizioni contrattuali. Dunque, occorre sempre il consenso di entrambe le parti, anche per poter modificare soltanto una delle clausole presenti nel contratto precedente. Tale pratica può essere effettuata in qualunque momento, a condizione che rispetti i termini previsti dall’istituto di credito, ed è possibile sia con l’istituto di credito originario che con un’altra banca. Secondo la Legge n. 40 del 2007, la rinegoziazione del mutuo può essere richiesta non solo una ma tante volte per tutta la durata del finanziamento. Dalla rinegoziazione del mutuo derivano diversi vantaggi per il mutuatario. Innanzitutto, va precisato che qualora il consumatore dovesse optare per la rinegoziazione, il mutuo originario non si estingue, il che significa che il mutuatario potrà risparmiare sulle varie spese. Inoltre, la rinegoziazione non comporta la perdita dei benefici fiscali previsti con il contratto di finanziamento precedente. Infine, come già anticipato, la pratica in questione non richiede alcun tipo di spesa per il consumatore e si può eseguire semplicemente mediante una scrittura privata per la quale non è necessaria l’autenticazione. Tuttavia, dalla pratica della rinegoziazione possono derivare alcuni rischi. Ad esempio, questo strumento potrebbe determinare una riduzione del valore della proprietà, in quanto l’istituto di credito potrebbe pretendere una garanzia aggiuntiva per la rinegoziazione del mutuo. Come pure, le nuove condizioni contrattuali potrebbero aumentare le rate mensili del finanziamento.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


La clausola floor nel contratto di mutuo

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Nei mutui a tasso variabile il tasso di interesse è strettamente connesso all’andamento di un indice finanziario di riferimento, il cosiddetto Euribor. Mentre il rialzo del tasso di riferimento comporta l’aumento della rata del mutuo, in caso di calo dell’Euribor la rata del finanziamento va a subire una riduzione, pertanto il mutuatario verrebbe a pagare meno. Addirittura, se il tasso di interesse dovesse raggiungere una soglia pari a zero, il consumatore andrebbe a rimborsare il finanziamento senza interessi. Generalmente al mutuo a tasso variabile si applica una clausola specifica, detta clausola floor, che rappresenta una sorta di garanzia per l’istituto di credito che eroga il finanziamento. Difatti, questo tipo di clausola consente alla banca di tutelarsi da notevoli riduzioni dell’Euribor, garantendole in tal modo un tasso minimo pari allo spread. Lo scorso anno, la Corte d’Appello di Milano si è pronunciata in tema di clausola floor nel contratto di mutuo a favore del consumatore. Nello specifico, un mutuatario ha contestato il fatto che, se da un lato la clausola floor va a limitare l'andamento del tasso di interesse verso il basso, dall'altro non fissa alcun limite qualora il tasso aumenti a dismisura; in altre parole, il consumatore ha lamentato che la clausola floor costituisce una forma di tutela solo per la banca e non per il cliente. La Corte d’Appello ha dato ragione al mutuatario stabilendo che la clausola floor è una clausola vessatoria, in quanto va a determinare a carico del consumatore un notevole squilibrio dei diritti e degli obblighi che derivano dal contratto. Così si è espressa la Corte milanese: “La clausola floor tutela, in modo esclusivo, la parte forte del contratto del mutuo a tasso variabile. Per tale ragione deve essere considerata una vera e propria clausola vessatoria”. In quanto tale, la clausola in questione è nulla e in queste circostanze l’istituto di credito è tenuto alla restituzione degli interessi. Tutti i consumatori che si siano trovati in tale situazione possono domandare il rimborso degli interessi addizionali conseguenti all'applicazione della clausola floor nei finanziamenti ottenuti nel periodo fra il 2015 e il 2022; difatti, dopo la pronuncia della Corte d’Appello di Milano, vi sono alte probabilità di vincere contro la banca e di ottenere il rimborso degli interessi.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'